22 Novembre 2024 02:59
Musacchio, profilo: criminologo e giurista, allievo di Giuliano Vassalli, e collaboratore di Antonino Caponnetto
Intervista a cura degli studenti del “Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies” di Newark il 7 dicembre 2021.
Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.
Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto
magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.
Musacchio è oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato.
Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie va combattuta a livello transnazionale”.
È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i sui lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche a livello europeo.
Professore è vero che la ‘ndrangheta rientri tra le mafie più potenti al mondo?
Sì. Il metro per stabilirlo è quello di guardare al traffico internazionale degli stupefacenti e in particolare della cocaina. In Italia c’è una sola mafia leader del settore: è la ‘ndrangheta. Non si può prescindere da una simile analisi. Occorre poi valutare l’estensione mondiale di quest’organizzazione mafiosa. La ‘ndrangheta è presente in ogni parte del globo.
Come opera in concreto?
Sviluppa rapporti mondiali utilizzando i proventi del traffico di stupefacenti proprio sulle dinamiche economiche e finanziarie internazionali. I clan calabresi scelgono con dovizia i Paesi dove operare. La ‘ndrangheta gestisce almeno un terzo della cocaina mondiale. È da qui che occorre partire: dalla sua più grande fonte di profitto. Milioni di tonnellate che pervadono l’Europa e profitti incalcolabili. Proprio su questi guadagni che si può comprendere come una mafia diventi transnazionale.
La transnazionalità è una caratteristica pericolosa?
Pericolosissima. La ‘ndrangheta camaleontica di oggi riesce a reinvestire i suoi guadagni sporchi ovunque nel mondo. “Pecunia non olet”. Tutti vogliono fare affari con una delle mafie più potenti al mondo per trarne profitto sia economico sia di consenso sociale beneficiando, di fatto, dell’inquinamento del mercato che la ‘ndrangheta riesce con successo a portare avanti in più settori economici e finanziari.
Come fa a essere così all’avanguardia una mafia che fino a poco tempo fa era definita grezza e violenta?
Ha detto bene, fino a poco tempo fa. La nuova ‘ndrangheta oggi si basa su una triplice strategia politico-mercatistica: 1) gestione del narcotraffico; 2) reimpiego dei capitali; 3) rapporti con le istituzioni. In questo momento ha una capacità di integrarsi nella vita sociale ed economica di qualsiasi Nazione al mondo.
Come possiamo combatterla efficacemente?
Come abbiamo detto e scritto più volte io e Franco Roberti, al momento la lotta alla criminalità organizzata è davvero impari, perché mentre le mafie si muovono senza confini, magistratura e forze dell’ordine hanno competenza solo sul proprio territorio e per agire oltre confine devono attivare gli istituti di cooperazione internazionale per la maggior parte disomogenei tra i vari Stati.
Assistiamo troppo spesso a rogatorie ignorate, a Nazioni governate da autocrati o in guerra o complici e quindi i necessari strumenti giuridici non sono attivati o non esistono proprio. Se non si pone rimedio a simili discrasie le mafie avranno sempre gioco facile.
Com’è la situazione in Unione europea?
In Europa la situazione non è migliore. Molti Stati membri nel loro codice penale non prevedono il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso. In teoria alcune Convenzioni prevedono che tra Paesi europei ci si consegni i ricercati senza analizzare giuridicamente la questione. La realtà dei fatti purtroppo ci dice che la legislazione europea sulla lotta al crimine organizzato non funziona come dovrebbe.
Ci fa un esempio per comprendere il mal funzionamento dei sistemi di lotta al crimine organizzato in Europa?
Ci sono stati casi in cui i magistrati italiani hanno chiesto alla Germania di procedere all’arresto di alcuni indagati per il delitto di cui al 416bis del nostro codice penale (Operazione Rheinbrucketra). Gli arresti sono avvenuti ma poco tempo dopo il tribunale di Karlsruhe, ha ritenuto che non sussistessero le esigenze cautelari e ha rimesso in libertà i presunti colpevoli che oggi sono latitanti, sfuggendo così – per ora – alla giustizia italiana.
Chiarissimo l’esempio, quindi lei cosa consiglierebbe di fare?
Quando mi è stato chiesto un parere, ho sempre risposto che non si può pensare di combattere efficacemente la criminalità organizzata italiana se non la si colpisce su più fronti. Va colpita al cuore e cioè nel proprio impero economico finanziario.
Vanno colpiti inesorabilmente tutti i suoi complici (broker, consulenti, soci, partner d’affari, politici, liberi professionisti e così via) poiché le consentono di crescere e diventare sempre più potente. Partendo da questi due elementi la lotta alle nuove mafie sarebbe meno impari.