25 Dicembre 2024 08:16
Unione Nazionale delle Camere Civili: risorse e Ufficio del processo sono aspetti positivi della riforma, ma le critiche restano inascoltate.
Il commento è a cura del Presidente dell’Associazione più rappresentativa degli avvocati civilisti italiani, Antonio de Notaristefani. Segue l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dei tre decreti attuativi sulla Giustizia previsti dal PNRR.
La riforma della giustizia civile è (quasi) legge. Non è riformato solo il processo ma un intervento di sistema, che riguarda sia il rito che l’organizzazione.
“Per la prima volta vi sono stanziamenti significativi, e questo aumenta la responsabilità di tutti nel cercare di farlo funzionare al meglio. Difficile dire se funzionerà, perché nessuno crede che davvero possa ridurre i tempi dei processi del 40% e l’arretrato del 90% in pochi anni. Questo è semplicemente un obiettivo impossibile da raggiungere”. Spiega il presidente Antonio de Notaristefani.
Cosa valuta utile l’Unione Nazionale delle Camere Civili
Alcune scelte sicuramente sono utili. Lo è l’Ufficio del processo, perché fornire un supporto operativo ai magistrati potrà migliorarne la produttività, se lo sapranno utilizzare al meglio, senza scaricare la responsabilità di decidere su quei giovani collaboratori. Ed è in questa prospettiva che l’Unione Nazionale delle Camere Civili aveva proposto al Ministro Bonafede un forte potenziamento dell’Ufficio del processo sin dal settembre 2020.
Egualmente condivisibili sono alcuni interventi sul rito. La nuova disciplina dell’appello ha cercato di trarre lezione dal passato: ha soppresso formalismi inutili, e forse qualche effettiva semplificazione l’ha introdotta. Anche il rinvio pregiudiziale in Corte di Cassazione, se gestito bene, potrebbe produrre benefici importati, specie nelle cause seriali. I Tribunali e le Corti sono ingolfati da migliaia di questioni su anatocismo, mutui, riflessi sui contratti della disciplina della pandemia, ecc: perché non far sapere subito a tutti cosa ne pensa la Corte?
In un momento in cui si introducono sanzioni, ed anche pesanti, su chi si vede dar torto, può essere di grande aiuto capire in anticipo come è probabile che andrà a finire. Certo, così si impedisce quella dialettica tra giudici di merito e Corte di legittimità che spesso è stata determinante ai fini del progredire di tutele e diritti; ma bisogna prendere atto che questa è una riforma dettata da esigenze e pressioni di carattere economico, non da un desiderio di equità e giustizia.
Con le sanzioni, si apre il capitolo delle note dolenti. È da sottoscrivere senza alcuna riserva – e così si smentisce una volta per tutte la tesi secondo cui gli avvocati sarebbero contrari alla riforma per ragioni corporative – l’affermazione, sul punto, del Consiglio Superiore della Magistratura, secondo cui è ingiusto prevedere che qualcuno possa essere multato per il solo fatto che abbia agito in giudizio, persino quanto non vi sia né mala fede né colpa grave. Si confida che la Corte costituzionale elimini rapidamente un’ingiustizia del genere: l’art. 24 della Costituzione costituisce un vincolo anche per il Legislatore.
Il giudizio di primo grado
L’architrave di qualunque riforma del processo civile è il giudizio di primo grado. È molto dubbio che le innovazioni introdotte sul tema, riesumando in larga misura quel che nel passato era fallito, possano davvero ridurne i tempi, seppur in minima parte. Tutti concordano sul fatto che quei tempi dipendono dal numero di coloro che decidono, e non dal rito.
Invece la nuova disciplina prevede oneri gravosi per tutte le parti, e ritmi eccessivamente penalizzanti per il convenuto. Insomma, in questo modo, si rischia di pregiudicare i cittadini senza rendere i processi di primo grado più rapidi.
Obiezioni simili sono state esposte più e o meno da tutti, a partire dal CSM per finire all’Associazione degli Studiosi del processo e all’Avvocatura: con rammarico si deve constatare che non sono state prese in considerazione.
Ambiguità di alcune norme, secondo l’Unione Nazionale delle Camere Civili
Non è condivisibile è l’ambiguità della formulazione di alcune norme in tema di chiarezza e sinteticità, che si ripetono con insistenza un po’ ossessiva. C’è rischio che qualcuno ne faccia cattivo uso, e si soffermi su aspetti di forma piuttosto che decidere chi ha ragione e chi torto.
Rispetto ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR), bene la previsione degli incentivi fiscali. Perché riservarli solo alla mediazione, senza lasciare ai cittadini la possibilità di operare una scelta usufruendo dello stesso trattamento fiscale?
In conclusione, bisogna mostrare apprezzamento per lo stanziamento di risorse, e per quel di buono che è stato fatto, che è importante. Spiace però che su alcune scelte fondamentali non si sia tenuto conto dei suggerimenti concordi di tutti coloro che si occupano professionalmente del processo.
La riforma diventerà pienamente operativa in tutti i suoi profili soltanto a partire dal 30 giugno 2023. Bisogna sperare, perciò, che prima di quella data venga prestato ascolto a quelle voci unanimi che si levano da più parti.