L’eredità del colpo di Stato in Iran  del 1953

Chi ha favorito l’ascesa di Khomeini? L’intricata rete di fattori dietro la Rivoluzione in Iran del 1979

Dietro l’ascesa dell’Ayatollah Khomeini, leader indiscusso della Rivoluzione iraniana, c’è una rete di attori interni ed esterni. Quali forze, consapevolmente o meno, hanno contribuito a farlo diventare il simbolo dell’Iran post-Shah?


Quando si parla della Rivoluzione iraniana del 1979 e dell’ascesa dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini, la narrazione più diffusa è quella di un uomo che, dalla sua residenza in esilio, è riuscito a mobilitare milioni di iraniani e a rovesciare uno dei regimi più solidi del Medio Oriente. Tuttavia, la realtà è molto più complessa e, come spesso accade in politica, l’ascesa di Khomeini è stata favorita da una combinazione di circostanze storiche, errori strategici e attori internazionali che, consapevolmente o meno, hanno contribuito alla sua presa di potere.

1. L’eredità del colpo di Stato in Iran  del 1953

L’eredità del colpo di Stato in Iran  del 1953
L’eredità del colpo di Stato in Iran  del 1953

Per comprendere il contesto che ha favorito l’ascesa di Khomeini, bisogna partire dal colpo di Stato del 1953. Come sappiamo, quel golpe, orchestrato dalla CIA e dal MI6, rovesciò il primo ministro democraticamente eletto Mohammad Mossadegh, portando al potere lo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Questa mossa, pur garantendo temporaneamente la stabilità politica e l’accesso occidentale al petrolio iraniano, piantò i semi di un profondo risentimento tra il popolo iraniano. Il regime dello Shah, sostenuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, fu percepito come un burattino dell’Occidente, incapace di rappresentare gli interessi nazionali.

Khomeini, all’epoca un giovane religioso, osservò questi eventi da lontano, ma trasse conclusioni importanti: il popolo iraniano, umiliato dalle ingerenze straniere, cercava una guida capace di opporsi all’imperialismo occidentale e al regime corrotto dello Shah. E sarebbe stato proprio questo risentimento, accumulatosi nei decenni successivi, a costituire la base della sua futura ascesa.


2. La politica repressiva dello Shah

Negli anni successivi al colpo di Stato del 1953, il regime dello Shah adottò un modello sempre più autoritario e repressivo. Con il sostegno degli Stati Uniti, lo Shah modernizzò l’Iran attraverso la cosiddetta “Rivoluzione Bianca”, una serie di riforme economiche e sociali volte a occidentalizzare il paese. Tuttavia, queste riforme ebbero effetti devastanti su ampi strati della popolazione.

Cosa succedeva in Iran durante gli anni ‘60 e ‘70?

  • La redistribuzione delle terre, parte della Rivoluzione Bianca, espropriò migliaia di piccoli agricoltori, portandoli alla povertà.
  • La crescita economica beneficiava soprattutto le classi alte urbane, aumentando le disuguaglianze sociali.
  • L’autoritarismo del regime si rafforzò con l’uso massiccio della polizia segreta dello Shah, la SAVAK, nota per la sua brutalità nella repressione di dissidenti politici e religiosi.

In questo contesto, l’opposizione religiosa, guidata da Khomeini, divenne il punto di riferimento per molti iraniani, in particolare per le classi più povere e i contadini, che vedevano nella sua retorica un’ancora di salvezza contro il dominio elitario e filo-occidentale del paese.


3. Il ruolo degli Stati Uniti: tra supporto e disastro

Gli Stati Uniti furono tra i principali fautori del regime dello Shah. Washington vedeva in lui un baluardo contro il comunismo in una regione strategicamente cruciale per gli interessi occidentali, soprattutto per la sicurezza delle riserve petrolifere. Tuttavia, questo sostegno incondizionato si rivelò un boomerang.

Negli anni ’70, la crescente influenza degli Stati Uniti sulla politica iraniana – dai contratti militari alla gestione dell’economia petrolifera – alimentò la percezione che il governo dello Shah non fosse altro che un regime fantoccio, al servizio degli interessi stranieri. Questo sentimento di rabbia anti-americana si intensificò con il peggioramento delle condizioni sociali ed economiche.

Khomeini, da parte sua, seppe sfruttare magistralmente questo clima di malcontento, costruendo la sua retorica su tre pilastri fondamentali:

  1. Lotta all’imperialismo: In particolare, contro gli Stati Uniti e il Regno Unito, descritti come colonizzatori che sfruttavano l’Iran.
  2. Critica alla corruzione del regime: Khomeini attaccava il lusso e la vita sontuosa dello Shah, in netto contrasto con la povertà della maggioranza del popolo.
  3. Difesa dell’Islam come identità nazionale: Mentre lo Shah promuoveva l’occidentalizzazione, Khomeini proponeva un ritorno ai valori islamici, visti come l’unica via per proteggere l’Iran dal degrado morale e politico.

4. Il fallimento della sinistra iraniana

Un altro fattore cruciale per l’ascesa di Khomeini fu il fallimento della sinistra iraniana, che negli anni ’70 sembrava avere la possibilità di guidare l’opposizione al regime dello Shah. Gruppi come il Fedayeen e il Tudeh (il partito comunista iraniano) erano forti, organizzati e godevano del sostegno di molti intellettuali e giovani rivoluzionari.

Tuttavia, la sinistra commise due errori fatali:

  1. Divisioni interne: Le diverse fazioni non riuscirono mai a trovare una vera unità di intenti. Anziché combattere insieme contro lo Shah, spesso si combattevano tra loro.
  2. Disconnessione dalle masse: Molti leader di sinistra erano concentrati nelle città e nella classe media, mentre la base del sostegno di Khomeini era più vasta e radicata nelle zone rurali e nelle classi più povere, che costituivano la maggioranza della popolazione.

Quando la Rivoluzione del 1979 prese piede, fu Khomeini, con il suo carisma e il suo messaggio religioso, a raccogliere il sostegno delle masse, lasciando la sinistra ai margini del movimento rivoluzionario.


5. L’esilio di Khomeini: un leader da lontano

L’eredità del colpo di Stato in Iran  del 1953Un elemento affascinante dell’ascesa di Khomeini è che, per la maggior parte del tempo, egli guidò la rivoluzione dall’esilio. Espulso dall’Iran nel 1964, Khomeini trascorse 14 anni tra Iraq e Francia, da dove diffondeva i suoi messaggi grazie a registrazioni audio, volantini e lettere che venivano contrabbandate in Iran dai suoi sostenitori.

La sua lontananza dal paese, paradossalmente, lo rese ancora più influente. Mentre in Iran lo Shah reprimeva duramente i suoi oppositori, Khomeini poteva presentarsi come l’uomo puro, l’unico leader non corrotto, in grado di guidare il popolo verso una nuova era di giustizia e fede.

La sua rete di sostenitori, molti dei quali erano studenti religiosi e membri del clero, si diffuse rapidamente. Grazie anche all’uso di tecnologie relativamente nuove, come le cassette audio, il messaggio di Khomeini raggiunse ogni angolo dell’Iran, diventando sempre più influente.


6. Il crollo dello Shah: il momento decisivo

Nel 1978, le proteste contro lo Shah si intensificarono. La repressione violenta delle manifestazioni, che culminò nel cosiddetto “Venerdì Nero”, in cui centinaia di manifestanti furono uccisi dall’esercito, segnò l’inizio della fine per il regime.

Mentre il regime crollava, Khomeini, ormai riconosciuto come il leader spirituale della rivoluzione, decise di tornare in Iran. Nel febbraio del 1979, accolto da una folla di milioni di persone, Khomeini atterrò a Teheran e, nel giro di poche settimane, prese il controllo del paese.


Conclusione: Chi ha favorito davvero l’ascesa di Khomeini?

In definitiva, l’ascesa di Khomeini non può essere attribuita a un solo fattore o a una singola fazione. È stata il risultato di un intreccio di circostanze storiche, errori politici e scelte strategiche fatte da una serie di attori, interni ed esterni. Gli Stati Uniti, con il loro sostegno al regime dello Shah, certamente contribuirono, così come il fallimento delle forze progressiste e la repressione violenta della dissidenza.

Tuttavia, Khomeini stesso dimostrò un’incredibile capacità di capitalizzare su questi fattori, trasformando il suo esilio in una posizione di forza e incarnando il desiderio del popolo iraniano di un cambiamento radicale. Se la storia ha insegnato qualcosa, è che le rivoluzioni non nascono mai dal nulla, ma sono sempre il frutto di una lunga serie di eventi e di errori, e l’ascesa di Khomeini non fa eccezione.


Fonti e link:
https://www.cia.gov
https://www.nytimes.com
https://www.britishmuseum.org

Condividi sui social