ACCA LARENZIA di Alfonso Indelicato

 

“Uscirono dalla sede del partito

luogo dei loro sogni di ragazzi

delle loro accese discussioni

di dispute, alterchi, passioni:

discutevano di Evola e  Gentile

Ezra Pound,  Bottai e Berto Ricci

di un fosco otto settembre

di Ettore Muti ucciso a tradimento

di quella Repubblica che salvò l’onore, 

dei giovani che scelsero il cimento

 sapendo che andavano a morire. 

 

Uscirono dalla sede del partito

figli di umili famiglie

con i volantini sotto il braccio

armati solo di giovane entusiasmo.

Il sangue dilagò sul marciapiede:

chi vi  ammazzò, Franco e Francesco?

Fu un commando di giovani borghesi

vestiti di stracci proletari:

fecero fuoco con le mitragliette, 

caddero per primi I due ragazzi. 

Del resto erano edotti gli assassini

di eletta  tradizione

di agguati, di spari nella schiena, 

fughe per i pendii delle montagne

di sicari nascosti tra la folla 

per tirare all’inerme a bruciapelo. 

 

 Poco più tardi, poco più lungi 

anche il giovane Stefano cadeva:

e si parlò di uomini in divisa 

con la pistola in mano, 

il braccio teso sul giovane bersaglio. 

Mai lo si seppe per certo, ma c’è chi dice

che non si volle approfondire il fatto: 

il quieto vivere su più nobili istanze

aveva fatto aggio.

Né si scoprirono i colpevoli,

assolti gli imputati,

non ebbero giustizia i figli uccisi

né i genitori disperati e affranti

soli con la memoria ed il dolore.

 

Questi i fatti: ed ora l’onorevole Donzelli, 

cui giova assai il tacere, chiama “imbecilli” 

quella fiera e ardita schiera 

di chi memore alza il braccio nel saluto, 

di chi grida il “presente”

ricordando quei morti giovinetti,

quei tre ragazzi umili e innocenti.

 

Ora, che dire? 

Scaldano gli scranni in parlamento

dicono ciò che non si può sentire

tronfi e spocchiosi. 

Quel saluto, quell’unanime grido, era, Donzelli,

un gesto d’amore. Quel saluto, quel grido,

era ciò che i ragazzi avrebbero voluto,

e forse (chi sa?) la sua eco maschia e potente 

davvero è  giunta di là.

Strage di Acca Larenzia: la violenza politica negli anni di piombo

Roma, 7 gennaio 1978 – Un agguato a sfondo politico in via Acca Larenzia, a Roma, provoca la morte di due giovani neofascisti, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta.

L’attentato, rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, è un evento chiave degli anni di piombo:

il periodo di forte tensione politica e sociale che attraversa l’Italia tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80.

I due giovani neofascisti, appartenenti al Fronte della Gioventù, sono uccisi mentre escono dalla sede del      Movimento Sociale Italiano, il partito di estrema destra.

L’agguato è un duro colpo per la destra italiana, che vede in esso una provocazione da parte delle forze estremiste di sinistra.

La situazione si aggrava ulteriormente quando, qualche ora dopo, durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo dell’agguato, un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, viene ucciso negli scontri con le forze dell’ordine.

La strage di Acca Larenzia contribuisce a peggiorare il clima di violenza e odio ideologico che caratterizza gli anni di piombo.

L’attentato segna una svolta nella storia del terrorismo italiano, che da questo momento si intensifica e si fa sempre più violento.

Un brutto periodo per l’Italia con morti da una parte e dall’altra,  strascichi  e polemiche mai sopite per la nebulosità e nebbia sulle responsabilità.

E quando non ci sono risposte trasparenti, gli animi si sollevano e i ricordi diventano macigni.

Inutile chiedere di dimenticare a chi ha avuto morti in casa.

Cosa ha dichiarato l’On. Zacchera:

QUEI SALUTI ROMANI…

Gravissimo attentato alla democrazia? Domenica sera alcune centinaia di persone, dopo un minuto di silenzio, hanno levato il braccio teso facendo il saluto fascista e urlato per tre volte “presente” in via Acca Larentia a Roma: la procura indaga.

Deve essere la stessa procura romana che in 46 anni non è stata capace di scoprire nessun componente del “gruppo di fuoco” di cinque o sei persone che si mise a sparare all’impazzata e a sangue freddo davanti ad una sede del MSI uccidendo sul colpo due ragazzi di destra (il terzo morirà poche ore dopo).

La strage avvenne la sera del 7 gennaio 1978 e altri tre missini si salvarono solo perchè riuscirono a chiedere alle loro spalle, pur feriti, la porta blindata della sede sotto un diluvio di colpi.

Per la strage non ci fu nessun indagato, nessun colpevole, nessun responsabile e l’anno successivo un altro militante missino fu ammazzato nello stesso posto.

Solo a dieci anni dai fatti furono accusati, da una pentita, cinque militanti di Lotta Continua ma uno si suicidò, un’ altra fuggì in Nicaragua dove rimase tranquilla senza essere mai estradata e gli altri furono prosciolti per insufficienza di prove, con la procura romana che neppure si appellò alla sentenza, cosa inaudita.

Anni dopo si trovò la mitraglietta “skorpion” usata nell’assalto in un covo delle Brigate Rosse e si scoprì che era stata poi utilizzata anche per tre successivi omicidi.

Questioni che non suscitano problemi di coscienza né interessano a chi ogni anno però si scandalizza se, ricordando l’anniversario, vede levarsi i saluti romani.

Quest’anno il M5S ha annunciato un esposto in procura per accertare se sia stato commesso il reato di apologia di fascismo, la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha annunciato un’interrogazione al ministro dell’Interno, il leader di Azione, Carlo Calenda, parla di «vergogna inaccettabile in una democrazia europea». Il presidente ANPI Pagliarulo è colpito “Che non ci siano state né azioni repressive né preventive nei confronti di una manifestazione di tipo neofascista sostanzialmente annunciata”

Si scandalizzino pure questi signori, chissà se proprio tra di loro non ci siano ancora anche quelli che uccisero a sangue freddo quei ragazzi e non hanno mai pagato per i loro omicidi o qualcuno di quelli che – pur ben sapendo i nomi degli assassini – non hanno mai avuto il coraggio di denunciarli.

Chi – come il sottoscritto – visse quegli anni sa cosa significava allora essere di destra e (pur non avendo mai colpito o picchiato nessuno) ricorda bene cosa voleva dire rischiare le botte tutti i santi giorni (botte, danneggiamenti, denunce, rischi…) solo perché la si pensava in maniera diversa da quei “democratici” che – ieri come oggi – si considerano “I gendarmi della memoria” e quindi gli unici depositari della verità.

Prendo atto che ad oggi oltre 100 persone sono state identificate e denunciate per apologia di fascismo per aver fatto domenica il saluto romano. Visto che si può ovviamente invece salutare con il pugno chiuso che pur era (è) il simbolo di dittature e violenze comuniste i giudici stabiliranno di quanti centimetri dovranno essere aperte le dita rispetto a un pugno per incorrere nel reato.

In vita mia non ho mai fatto il saluto romano, ma mi sembra che questo modo di procedere sia assurdo, detto con il massimo rispetto verso chi per il fascismo ha subito (80 anni fa!) violenze e mancanza di libertà.

UNA DEMOCRAZIA SERIA NON PUO’ AVERE PAURA SE QUALCUNO FA IL SALUTO ROMANO E, PIUTTOSTO, DIMOSTRA NEI FATTI CHE I SUOI PRINCIPI SONO BEN MIGLIORI DI QUALSIASI DITTATURA.

Credo che, proprio perché siamo in una democrazia, ognuno abbia il diritto di salutare e pensarla come vuole: sono semmai le azioni o le violenze quelle che vanno invece sempre denunciate, condannate, represse e colpite.

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