Tragedia del Kursaal, Jesolo. Mandato a rimuovere le bombole antincendio senza manometro e senza formazione specifica: chiesto il processo per i datori di lavoro di Fabio Da Prat

E’ stato mandato a rimuovere le bombole dell’impianto antincendio, che gli era stato detto essere vuote, senza alcun manometro di prova, che gli avrebbe consentito di appurare come in realtà di gas compresso al loro interno, purtroppo e fatalmente, ve ne fosse ancora parecchio, e senza formazione. E’ questa la causa di fondo, con le solite violazioni delle leggi antinfortunistiche, alla base della “tragedia del Kursaal” costata la vita, a soli 46 anni, a Fabio Da Prat, di Dolo. Ma per i suoi familiari, che si sono affidati a Studio3AValore S.p.A., si avvicina l’ora della verità e della giustizia.

A conclusione delle indagini preliminari sul drammatico e assurdo incidente sul lavoro occorso il 29 novembre 2021 nel noto “palazzo del Turismo” e Centro Congressi di Jesolo, il Pubblico Ministero della Procura di Venezia il dott. Christian Del Turco, ha chiesto il rinvio a giudizio per il suo datore di lavoroA. S., 47 anni, di Salzano, amministratore unico della R.G. Impianti srl, con sede legale sempre a Salzano, e per un preposto della stessaM. G., 53 anni di Mira. Dovranno rispondere di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di averlo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il Gup del Tribunale lagunare, dott.ssa Daniela De Fazio ha fissato per il 18 marzo 2024 l’udienza preliminare del processo.

Il tragico infortunio sul lavoro risale al novembre del 2021

Nella complessa ricostruzione dell’inchiesta degli ispettori dello Spisal dell’Ulss 4 Veneto Orientale, dei carabinieri di Jesolo e, soprattutto, dell’ingegner Mario Piacenti, è chiaro che tutto parta da un equivoco di fondo. L’intervento di manutenzione, era un’operazione apparentemente di routine, affidata quel “maledetto” giorno a Da Prat e a un collega più giovane, M. T., 35 anni, di Casale sul Sile (Tv), vivo per miracolo.

L’ufficio Lavori Pubblici della Città Metropolitana di Venezia, all’epoca proprietaria del Kursaal, incarica la R.G. Impianti dell’intervento. Fa presente una serie di prescrizioni rilevate da un proprio consulente esterno, tra cui quella di ricaricare le tre bombole a gas. Il preposto dell’impresa, nell’inviare i due operai nell’edificio, come gli è stato riferito dice dunque loro che queste sono vuote. E questa falsa informazione, su cui i due faranno pieno affidamento, giocherà un ruolo importante nella drammatica vicenda.

Le negligenze della tragedia del Kursaal

Infatti, come chiarisce Piacenti nella sua perizia, la prima operazione da effettuare nei casi di rimozione delle bombole antincendio, indipendentemente dalle informazioni ricevute, è quella di accertarne il reale stato, se cioè esse siano effettivamente vuote o contengano ancora residui di gas. Ma i due lavoratori questa verifica non l’avrebbero mai potuta effettuare, poiché “non forniti dalla ditta dei manometri professionali portatili di prova necessari a operare su impianti antincendio con bombole a gas pressurizzato” per citare la richiesta di rinvio a giudizio. Ed è appunto questa la prima negligenza contestata dal Pm ai due imputati.

L’altra, altrettanto grave, colpa specifica, imputata dal magistrato inquirente è quella, per il datore di lavoro, di “non aver adempiuto agli obblighi di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori. E di aver omesso di valutare i rischi connessi all’attività di manutenzione ordinaria e straordinaria dei sistemi antincendio e di predisporre modalità operative per la gestione delle bombole a gas compresso”.

E, per il preposto dell’azienda, di aver incaricato i due dipendenti “pur sapendo che erano sprovvisti di adeguata formazione ed informazione sui rischi specifici, che tale tipologia di lavorazione non era stata oggetto di valutazione e che non esistevano procedure operative aziendali dedicate”. I due operai, infatti, non solo “hanno iniziato le operazioni di smontaggio delle bombole senza sincerarsi previamente, con l’apposito manometro (che non avevano), del loro stato”, ma anche “senza seguire le corrette procedure richieste per la lavorazione specifica, in particolare non posizionando il cappellotto di sicurezza primo dello sgancio della bombola dall’ancoraggio a parete, procedure a loro ignote, in quanto non erano stati formati e informati su rischi e procedure operative” conclude l’istanza di processo del dott. Del Turco.

Il fatale epilogo della vicenda: ora i familiari si aspettano giustizia

Il resto, purtroppo, è tristemente noto. Nella fase di rimozione, nel tentativo di spostare una delle bombole si è inavvertitamente innescata la scarica di gas estinguente. E lo stesso è accaduto in sequenza anche per le altre due. Il risultato è che i tre dispositivi sono schizzati per tutto il piano interrato travolgendo “nel corso dei loro moti aberranti”, suppellettili, condotte e impianti. E una di esse, purtroppo, colpendo in pieno e in modo fatale al capo Da Prat, che è deceduto praticamente sul colpo.

La madre e il fratello della vittima, per essere assistiti, attraverso l’Area manager Veneto Riccardo Vizzi, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A.,che sta seguendo l’iter risarcitorio, e all’avv. Andrea Piccoli del Foro di Treviso. Ora, di fronte a questo punto fermo dell’inchiesta e alla richiesta di processo, si aspettano finalmente una risposta dalla giustizia.

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