Attilio Manca, omicidio di stato? La Commissione antimafia della scorsa legislatura, all’unanimità, ha stabilito che il suo decesso sarebbe “imputabile ad un omicidio di mafia

Il caso era stato trattato come suicidio, ma le incongruenze nelle indagini, ci sarebbero,  secondo il fratello, Gianluca Manca.

La dichiarazione deriva da una trasmissione di approfondimento molto seria

Il legale della famiglia Manca, Fabio Repici, ospite della trasmissione di Rai Uno “Storie di sera insieme a Gianluca Manca, fratello del giovane urologo morto nel 2004, ha ribadito:

Nel giro di dieci giorni, forse meno, ci rivolgeremo alla Dda di Roma affinché vengano riaperte le indagini sulla morte di Attilio Manca”.

In tanti si stanno mobilitando per riuscire a venire a capo dell’ennesimo “mistero” di questa povera Italia sempre alla ricerca di giustizia.

Depistaggi all’ordine del giorno, su cui la Commissione Antimafia sta cercando di fare luce:

“le indagini procura di Viterbo non portarono a risultati significativi e il pubblico ministero chiese ripetutamente l’archiviazione del caso”, ammette la Commissione.

C’è pure dell’altro: l’ipotesi omicidiaria ad opera di appartenenti alla mafia in collegamento con Bernardo Provenzano […] si fonda su elementi di mera supposizione» (26 luglio 2013).

L’analisi dell’Antimafia non si ferma qui, parla apertamente di:

alcune lacune nell’azione degli inquirenti, nonché il non certo puntuale operato di colei che effettuò l’esame autoptico”.

I dati in possesso degli inquirenti hanno accertato che Manca fosse a Roma il 10 febbraio ed incontrò una donna che potrebbe avergli dato la dose letale.

Le lacune ci sarebbero anche per la perizia medica:

“Negligente fu, poi, l’operato del medico legale, che rese di fatto impossibile stabilire con certezza l’orario della morte del de cuius”.

In realtà “non è mai emerso alcun rapporto tra le cure approntate a Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata e il dottor Attilio Manca”.

Tesi accertate dall’Antimafia:

“Nel corso dell’audizione in Commissione il 12 febbraio 2014 dal procuratore della Repubblica di Roma,

Giuseppe Pignatone, e dal procuratore aggiunto, Michele Prestipino (già titolari, con altri, a Palermo delle

indagini per la cattura dello stesso Provenzano).

Nella sentenza del 29 marzo 2017 la donna veniva condannata, reclusione di 5 anni e 4 mesi, oltre alla multa di 18 mila euro.

Si dava per scontato che Manca assumesse droga.

la procura distrettuale antimafia di Roma, nell’aprile del 2015, ha aperto un nuovo procedimento sul caso, ora in fase di attesa della pronuncia del Gip, dopo la recente richiesta di archiviazione.

E ci sono due tesi, pure all’interno della Commissione, questa quella della minoranza:

” la relazione di minoranza, invece, l’operato della Commissione «ben poteva continuare con l’espletamento

di ulteriori audizioni e con l’acquisizione di documenti utili all’approfondimento del caso, che si auspica verranno portati avanti nella prossima legislatura»;

la relazione di minoranza si conclude, quindi, con un corposo elenco degli approfondimenti auspicati.”

Il mistero qual è? Il collegamento non provato delle cure dell’urologo a Provenzano per le cure in Francia.

Da questo ipotetico contatto sono derivate tanti illazioni.

“Si voleva ‘proteggere’ Provenzano, ossia favorirne la latitanza in modo soft, e cioè limitandosi ad avocare a

sé vari filoni d’indagine che potevano portarne alla cattura, ma avendo cura al contempo di non portare

fino in fondo le attività investigative quando si fosse troppo vicini all’obbiettivo’’.

Se fosse vero quanto sopra sarebbe gravissimo, ed è chiaro che poi smentire le trattative Stato-Mafia, più volte salite alla ribalta, getterebbero ombre sull’operato dello Stato.

La famiglia Manca non fu ammessa dal giudice come parte civile.

E anche questo aspetto la dice luna sulla trasparenza delle Istituzioni:

un omicidio “frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra”.
Non ci sono più alibi per nessuno” disse il legale della famiglia Manca, Fabio Repici. Ora la parola passa alla procura di Roma diretta dal procuratore Francesco Lo Voi.

Lo Stato non può scegliere il “male minore”, deve essere fare applicare le leggi e fare pulizia al suo interno, assicurando i criminali alla giustizia, come avvenuto con Matteo Messina Denaro

 

 

 

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