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Dottore Psicologo Psicoterapeuta Carlo D’Angelo :“ Spettatori malinconici di felicità impossibili”

Carlo D'Angelo Dottore

21 Settembre 2024, Dottore Carlo D’Angelo Psicologo Psicoterapeuta : “l’altro giorno viaggiando in macchina, rientravo a casa dopo una giornata di lavoro, in cui avevo incontrato persone che avevano fatto richiesta di un’Analisi Psicologica personale, e ascoltavo per radio una vecchia canzone di Renato Zero, quando, aiutato dalle sue parole, ho considerato e visualizzato interiormente l’atteggiamento che riscontro in molte persone che vivacchiano alla giornata come Spettatori malinconici di felicità impossibili, abitanti di un tempo come testimoni inermi e arresi al dilagare di una insolita violenza”.

“Così ho pensato di stigmatizzare il momento storico che viviamo, in cui sembra che l’uomo abbia rinunciato a perseguire la ricerca della propria felicità, un tempo percepita in un sogno realizzato, in un innamoramento sperato, in un dono ricevuto.

No, oggi sembra che non sia più così.

L’uomo in generale ed il mondo dei giovani in particolare, non riesce più a trovare gusto in niente, rifugiandosi nel proprio malessere, facendolo diventare casa.

Troppo ha avuto, troppo ha divorato attraverso una ingordigia assistenziale esasperante, tanto da arrivare ad intraprendere la via dell’eliminazione dell’altro, come forma di potere o di euforia.

E non parlo delle guerre che si combattono tra stati, parlo invece dell’eliminazione fisica, dell’omicidio e della violenza che sta diventando una pratica, seppur nella sua drammaticità e crudeltà, quasi naturale nella quotidiana convivenza.

Un figlio che sgozza il padre, il fratello e la madre.

Una ragazzina che rimane più volte incinta per poi partorire e ammazzare i figli e nasconderli nel giardino di casa, dove magari prendeva il sole o sorteggiava una bibita con le amiche, per citare solo gli ultimi due casi in ordine cronologico.

Uso il termine “naturale” con la consapevolezza di intendere una realtà che non desta più scalpore, non scandalizza più, non crea più disagio.

Ci si è abituati, perciò naturale.

Allora si accetta, come in una resa inevitabile, che la storia prenda una piega irreversibile e mortifera.

Questo il dato oggettivo, nudo e crudo, frutto di una violenza che può essere solo figlia del male, di una realtà/entità sovraumana che sembra regnare in questo mondo seppur costituito ab inizio come cosa buona.

Ma rilevo ancora un dato, che dal mio punto di vista è ancora più sconcertante e avvilente: il completo silenzio di coloro che sono stati costituiti pastori e maestri nella chiesa di Cristo, custodi e sentinelle dei valori umani e cristiani quali il bene e la fraternità, la carità e il perdono, la mitezza e la pace.

Che fine ha fatto la chiesa? Perché in quest’epoca non denuncia più niente?

Perché non condanna più il male chiamandolo per nome?

Perché non alza più la voce su questioni che, proprio perché non sono e non devono essere naturali, rischiano di diventare uno stile ordinario?

Davvero ogni silenzio può avere il peso di un assenso e ogni resa può costituire il presupposto di una responsabilità maggiore.

Se la responsabilità è dei responsabili, quanto ancora deve accadere affinché ognuno si faccia operatore di pace e di giustizia? Tutti sono diventati sordomuti, come l’uomo dell’esperienza evangelica.

Tutti domati, incapaci di sentire e inetti nel dire. Incapaci di ascoltare così da non sapersi accogliere, muti nel silenzio interiore che diventa vuoto, muti perché incapaci di proferire parole di senso.

Senza un linguaggio che diventa comunicazione, neanche più di emozioni o sentimenti. Si resta senza parole, basiti di fronte a ciò che ci circonda, incapaci di descriverci e di prendere posizione di fronte alla vita.

Muti perché finalmente per alcuni non ci saranno parole diverse, tutto scorrerà tranquillo senza essere disturbati da provocazioni o alternative che potrebbero significare cambiamenti, suscitare ribellioni, aprire all’inatteso.

Eppure la ricerca di senso dovrebbe guarire da questo essere sordi e muti.
La ricerca di senso ci guarisce, ci tocca e rende nuovamente le nostre labbra pronte alla parola, i nostri orecchi capaci di intendere, di ascoltare.

Come nel Vangelo Gesù guarisce e libera l’uomo che tocca, lo fa in un territorio straniero, non sacro, in cui i linguaggi possono confondersi ma dove la sua presenza riporta il senso.

La chiesa oggi riesce a riproporre l’esperienza della guarigione da ogni sordità?

Rappresenta ancora il luogo dove con libertà si possono esprimere parole e idee, pensieri e sentimenti?

Se così non fosse può darsi che manchi una Presenza.

Se non siamo capaci di guarire sordità e di rompere mutismi, la pesantezza di un’assenza ci condanna, restando spettatori malinconici di felicità impossibili, perché abbiamo eliminato dal nostro orizzonte l’unica possibilità di essere veramente felici”.

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