“Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Sono i nomi della scorta di Giovanni Falcone che morirono con il magistrato a Capaci il 23 maggio 1992. Nomi che fanno parte della nostra storia e che dovremmo imparare a memoria”. Lo ha dichiarato il Presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi questa mattina nel corso dell’esposizione dell’auto della scorta Giovanni Falcone in piazza Città di Lombardia a trent’anni dall’uccisione del magistrato. “Questa ‘installazione’ è, prima di tutto, un “presidio della memoria” – ha proseguito Alessandro Fermi -. E per questo ringrazio Tina Montinaro, moglie del capo scorta di Giovanni Falcone, che gira il nostro Paese per ribadire e far crescere la cultura della legalità. I resti dell’auto della scorta di Falcone parlano soprattutto ai più giovani e servono a ribadire, sempre e con forza, l’importanza della lotta alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta e in generale ai sistemi criminali. Non solo a parole, ma con gli esempi concreti di chi si è impegnato e ha rischiato la propria vita per spezzare il clima di paura e di intimidazione. Iniziative simboliche come queste che ci ricordano che le organizzazioni criminali non sono un problema dei magistrati o delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine, ma sono una questione che coinvolge tutti. Perché ‘gli uomini passano, le idee restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini’, come amava ripetere Giovanni Falcone”. “Quarto Savona Quindici” era il nome in codice usato per la Fiat Croma blindata che, il 23 maggio di trent’anni fa, è stata colpita dalla deflagrazione di circa 500 chili di tritolo allo svincolo di Capaci dell’autostrada A29 “Palermo – Mazara del Vallo ed è saltata in aria insieme alla macchina di Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo. “La vista dell’auto della scorta di Giovanni Falcone – ha dichiarato Monica Forte (Gruppo Misto), Presidente della Commissione Antimafia - ci ricorda che lo Stato per Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro ha rappresentato la promessa di un mondo più giusto e che per quello Stato e per quell’idea hanno dato la vita. Ognuno di noi è a suo modo portatore di un testimone molto impegnativo e con il contributo di tanti riusciremo a rendere il giusto tributo a quell’impegno. Sarà un nostro assillo difendere la società e l’economia lombarda dai tentativi di colonizzazione mafiosa. Siamo una rete di alleanze istituzionali e civili che può essere più forte delle organizzazioni mafiose. Continuiamo a camminare con questa consapevolezza e registreremo sempre più decisi e importanti passi avanti”.

Giovanni Falcone: la sua fama e il suo nome non potrà essere utilizzato in Germania pena un’ammenda

La vicenda aveva indotto Maria Falcone ha prendere posizione

il ristoratore di Francoforte, Constantin Ulbrich, finito nella bufera due anni fa per avere chiamato il suo locale “Falcone e Borsellino”.

A stabilirlo i giudici di appello di Francoforte sul Meno che hanno ribaltato la sentenza di primo grado e hanno accolto il ricorso presentato da Maria Falcone.

Una volta tanto una vicenda importante finisce bene, ricordiamo quanto accaduto

I soliti luoghi comuni sugli italiani mafiosi mentre poi in realtà la mafia e’ pure in Germania, ma questo non lo ricordano i tedeschi.

Cosa era accaduto? L’immagine di Falcone e Borsellino associata al Padrino, come insegna della pizzeria

Sui muri la foto  che ritrae insieme i due giudici assassinati 30 anni fa, e accanto aveva  l’immagine di don Vito Corleone del celebre film “Il Padrino”.

Giovanni Falcone, l’uso del cognome a fini commerciali

La storia: Primo ricorso non accolto

il tribunale, “Falcone ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”.

La svolta nei giorni scorsi

La Corte ha disposto il divieto di uso “della denominazione commerciale ‘Falcon'” da sola o come parte di una denominazione commerciale

in particolare come nome della pizzeria ‘Falcone e Borsellino’

su insegne, menu, materiale pubblicitario, su internet, su Facebook e su Instagram nell’ambito dell’attività commerciale“.

“E’ una sentenza che ristabilisce il senso del rispetto, ha dichiarato  Maria Falcone

La soddisfazione di Maria Falcone

La Corte inoltre riconosce che Maria Falcone abbia una legittima pretesa al diritto alla richiesta di risarcimento

in base al diritto al nome e al diritto alla personalità post mortem.

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