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Ambiente

Il rischio energia non è mitigabile con le fonti rinnovabili

BossiBy Bossi30 Settembre 20225 Mins Read
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Fonti energetiche
Fonti energetiche

Il rischio energia porta l’87% delle imprese a essere pronte alla chiusura entro il 2022 se non vi saranno interventi.

Da un campione di 509 titolari di PMI su tutto il territorio nazionale intervistati emerge il rischio di una carneficina imprenditoriale. Un elemento dato soprattutto da costi energetici non più sostenibili per il sistema-impresa.

“Ma la vera resa dei conti deve ancora avvenire. Infatti, oltre il 63% del campione analizzato afferma di poter sopportare il caro energia solo perché si sta ancora beneficiando di contratti di fornitura energetica a prezzi bloccati, stipulati nei mesi addietro. Quando tale effetto finirà, si verificherà uno tsunami economico tale da decuplicare i costi energetici per le aziende. Questo renderà pressoché impossibile continuare a rimanere aperti. Tale situazione si aggrava ancora di più nelle regioni del Centro-Nord, dove la presenza di imprese energivore è molto capillare. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna ad altissimo rischio di stop produttivo qualora lo scenario dovesse peggiorare”. Afferma il Prof. Fabio Papa, fondatore di I-AER e docente di economia.

Il 36% degli imprenditori intervistati si dichiara “pronto a chiudere entro il 2022” se lo scenario non dovesse cambiare tramite interventi governativi o di livello sovranazionale.

Il rischio energia tante le imprese pronte alla chiusura

Nel contesto descritto, non sorprende che oltre l’87% delle imprese pronte alla chiusura siano operative in settori quali acciaio, ceramica, industria di precisione e dell’automazione industriale.

“La situazione – continua Papa – è chiaramente fuori controllo. Le imprese italiane, tipicamente di piccole dimensioni e a conduzione familiare, non possono sostenere prezzi energetici di dieci volte superiori al normale. Sebbene diverse aziende siano dotate di consistenti depositi bancari, i nostri studi ci dicono che solo un intervento di natura politica potrà risolvere l’attuale situazione. In caso contrario le imprese più deboli saranno certamente destinate ad una chiusura, almeno momentanea, con conseguenze di portata storica sul fronte sociale”.

Come se non bastasse, la narrativa sulle energie rinnovabili non è in questo caso d’aiuto. Si pensi che solo per installare dei pannelli solari ben 9 titolari d’azienda su 10 dichiarano tempistiche superiori agli 8 mesi. Ciò soprattutto a causa della carenza di materiali generata dall’implosione delle catene logistiche.

Va ricordato che in Italia solo due aziende su dieci fanno ricorso strutturale all’energie rinnovabili e che meno di un’azienda su dieci può definirsi almeno parzialmente indipendente sul fronte energetico.

I motivi vanno ricercati sia in ritardi di natura meramente culturale nei confronti delle energie rinnovabili, sia in ritorni sull’investimento molto lunghi, dati da politiche governative spesso intermittenti e non in grado di assicurare quella convenienza economica ricercata dalle imprese. Pertanto, è triste constatare come le energie rinnovabili al momento non possano rappresentare una soluzione di immediata applicazione per mitigare le problematiche in corso”.

Quali contromisure porre in campo?

“Quindi quali contromisure adottare per contrastare un finale che sembra già scritto?” si sono chiesti i ricercatori di I-AER.

“La nostra Stella Polare – afferma il team di ricercatori – prende il nome di scelte di convenienza economica, vale a dire la capacità di una data azienda di introdurre decisioni che preservino la sostenibilità di tutto il comparto imprenditoriale, dalle persone ai clienti, passando per fornitori e famiglie coinvolte. Senza la capacità di prendere decisioni in tempi rapidi (es. produco/non produco), molte imprese esauriranno rapidamente l’ossigeno accumulato nei mesi scorsi e saranno forzatamente portate allo stop della propria attività”.

Ma il rischio energia non è l’unica sfida che le imprese italiane stanno affrontando. Infatti “si sta verificando un fenomeno da molti trascurato sul fronte delle risorse umane. La crescente necessità di innalzare i compensi, ciò in quanto l’inflazione galoppante (data per oltre il 50% proprio dal caro energia) sta mettendo sotto pressione il potere d’acquisto di individui e famiglie”.

Ciononostante, secondo i dati di I-AER, solo 28 aziende su 100 possono sostenere un incremento degli stipendi netti, soprattutto in una situazione emergenziale come quella in essere.

“Questo dato spiega almeno parzialmente l’innalzamento del turnover aziendale soprattutto tra le piccole e medie imprese. Anche a causa della forte pressione data dai costi energetici esse non riescono a stare al passo con le richieste (pur legittime) della forza lavoro. Come se non bastasse, le imprese che si dichiarano pronte ad implementare incrementi degli stipendi possono farlo, in 7 casi su 10, solo fino ad un massimo di 100 euro netti al mese per dipendente, una cifra non sufficiente a far ripartire strutturalmente i consumi nazionali. “In questo scenario – conclude Papa -il Governo dovrebbe sostenere quelle imprese che offrono incrementi di stipendio ai lavoratori, tramite una detassazione totale. Solo così le aziende saranno incoraggiate ad essere più generose. In caso contrario, gli stipendi rimarranno completamente fermi con un impatto fortemente negativo sui consumi”. Conclude Papa.

Che cosa attendersi quindi? “Mai come stavolta sembra che le imprese siano nel mezzo di una tempesta perfetta. E il circolo vizioso dell’insostenibilità possa essere spezzato solo da opportune scelte politiche che vanno ben oltre quelle di convenienza economica”.

economia Emilia Romagna energia italia lombardia veneto
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