Tim: paghiamo la totale assenza politica e imprenditoriale nelle scelte strategiche e nella politica economica

TIM, ex Telecom Italia, è quel tipico caso in cui si vedono gran parte delle incongruenze e assurdità italiane che chiamano in causa sia la classe politica che quella imprenditoriale.

Questa società ogni tanto torna alla ribalta ma quasi mai per fatti gestionali di un qualche rilievo quanto piuttosto per vicende di scalate borsistiche o schermaglie tra azionisti. 

Tutto era partito male già all’epoca della privatizzazione di circa 25 anni fa. Allora l’operazione prese il via con grande pressapochismo, senza la costituzione di un nocciolo duro di azionisti e col coinvolgimento di qualche industriale, per di più recalcitrante, come gli Agnelli che col loro 0,6% (che voi vendettero con ottima plusvalenza) erano chiamati ad essere di quel “nocciolino” il pernio (esprimendo in quella circostanza pure il peggiore dei già non eccelsi futuri amministratori della società).

Seguirono diverse gestioni dai capitani coraggiosi di Colaninno (che ne appesantì la posizione finanziaria zavorrando la società per i decenni successivi col suo MBO, management buyout) a Telefonica, a Tronchetti Provera. Per arrivare all’attuale composizione societaria, coi francesi di Vivendi come primo azionista con circa il 20% e CDP col 10%, ingessata in contrasti continui  per visioni strategiche spesso opposte.

È notizia di questi giorni che uno dei fondi di private equity più grandi al mondo KKR, sfruttando il livello molto basso delle quotazioni, sta approntando un tentativo d’acquisto.

TIM è l’unica società di tlc di un paese sviluppato ad essere gestita da un azionista straniero, proveniente da un paese (la Francia) che mentre in casa sua dimostra un nazionalismo economico divenuto ormai proverbiale imperversa invece qui da noi praticamente in tutti i campi, nel totale silenzio di dibattito politico e imprenditoriale (presi invece dai soliti incomprensibili dibattiti su cariche e dibattiti ideologici).

Sarebbe un unicum anche che la società di tlc finisse ad un operatore finanziario come il fondo statunitense che ovviamente investirà per rilanciare l’azienda per poi rivenderla nel medio termine. 

Tutte le società di telefonia fissa e mobile, con le loro reti di cavi e di ripetitori, sono necessarie e massimamente strategiche per l’economia, la difesa, le comunicazioni, la sicurezza informatica e la PA di un paese, inoltre ad abundantiam si aggiungono pure le problematiche future legate al 5G ed al completamento della fibra ottica.

Dopo tutte queste peripezie e stranezze, che non trovano riscontro da nessun’altra parte, grazie al Golden power (rivisto più volte), sarebbe oggi comunque possibile un intervento governativo per bloccare l’acquisizione oppure dettare al fondo statunitense delle condizioni stringenti. 

Resta l’ennesima occasione sprecata come sistema paese, con un’intera classe dirigente assolutamente inerte e di impareggiabile miopia, pronta ad accapigliarsi sempre su questioni che non hanno nulla a che fare sulle questioni strategiche e di politica industriale.

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