Regeni egitto

Regeni, convocato Al Sisi, dai genitori di Regeni: l’ambasciata rifiuta le lettere

Egitto 04 Febbraio 2025, sul caso Regeni : un ufficiale giudiziario ha cercato ieri, di notificare al primo ministro Abdel Fattah Al Sisi e a suo figlio Mahmoud, la convocazione per testimoniare, al processo che si sta svolgendo presso la corte di Assise di Roma, contro i presunti assassini di Giulio Regeni, ma l’ “addetto all’ambasciata rifiuta il ritiro”.

9 anni fa il corpo martoriato di Regeni, e ancora nessuna giustizia

 Sono passati 9 anni, dal quel fatidico 3 Febbraio del 2016, quando fu ritrovato il corpo martoriato di Giulio Regeni, al Cairo.
Il ricercatore italiano fu ucciso, secondo la procura di Roma per mano di agenti della National security, il servizio segreto civile egiziano dalla perizia emergono le torture subite:
  •  pugni;
  • calci;
  • bruciature;
  • bastonate sui piedi;
  • ammanettato nei polsi e nelle caviglie.

A confermarlo, quanto subito da Giulio Regeni, fu Vittorio Fineschi, consulente della Procura di Roma.

Alessandra Ballerini avvocato che assiste la famiglia Regeni “Giulio, come sappiamo, e ne abbiamo avuto la prova ancora oggi, è stato torturato per giorni e poi gli è stata procurata la morte”.

Una lettera di Claudio e Paola Regeni, i genitori di Giulio, hanno scritto su ‘La Repubblica’ indirizzata al presidente egiziano:

“Consegni i cinque indagati alla giustizia italiana, permetta ai nostri procuratori di interrogarli, dimostri al mondo che la osserva che lei non ha nulla da nascondere”.

“Lei ha il privilegio e l’occasione di fare giustizia, sprecarli sarebbe imperdonabile”

“A marzo di tre anni fa sulle pagine di questo giornale Lei si rivolgeva a noi ‘come padre prima che come presidente’ e prometteva ‘che faremo luce e arriveremo alla verità, lavoreremo con le autorità italiane per dare giustizia e punire i criminali che hanno ucciso vostro figlio”.

“Sono passati tre anni. Nessuna vera collaborazione c’è stata da parte delle autorità giudiziarie egiziane e dopo l’iscrizione nel registro degli indagati, da parte della procura italiana, di cinque funzionari dei vostri apparati di sicurezza, la procura egiziana ha interrotto tutte le interlocuzioni”.

“Oggi sappiano che Giulio è stato sequestrato da funzionari dei vostri apparati di sicurezza e lo sappiamo grazie al lavoro incessante degli investigatori e dei procuratori italiani e dei nostri legali”. 

“Lei è venuto meno alla sua promessa”.

“Lei, lo apprendiamo dai media, ha un potere smisurato. Risulta, quindi, difficile da credere che chi ha sequestrato, torturato, ucciso nostro figlio Giulio, chi ha mentito, gettato fango sulla sua persona, posto in essere innumerevoli depistaggi, organizzato l’uccisione di cinque innocenti ai quali è stata attribuita la responsabilità dell’omicidio di nostro figlio, tutte queste persone abbiano agito a Sua insaputa o contro la sua volontà”.

“Non possiamo più accontentarci delle sue condoglianze né delle sue promesse mancate”.

“Generale, Lei sa bene che la forza di un uomo e ancor più di un capo dello Stato non può basarsi sulla paura ma sul rispetto”.

“E non si può pretendere rispetto se si viene meno ad una promessa fatta a dei genitori ed a un intero Paese orfano di uno dei suoi figli”.

“Giulio, lo sa bene anche lei, era un portatore di pace, Giulio amava il popolo egiziano: ha imparato la vostra lingua e ha fatto diversi soggiorni al Cairo cercando di vivere come un egiziano. Invece, e’ morto come, purtroppo, muoiono tanti egiziani”.

“Presidente, Lei dice di comprendere il nostro dolore, ma lo strazio che ci attraversa da 39 mesi non è immaginabile”.

“Lei, però, può intuire la nostra risolutezza e la nostra determinazione che condividiamo con migliaia di cittadini in tutto il mondo. Siamo una moltitudine severa e inarrestabile”.

“Finché questa barbarie resterà impunita, finché i colpevoli, tutti i colpevoli, qualsiasi sia il loro ruolo, grado o funzione, non saranno assicurati alla giustizia italiana, nessun cittadino al mondo potrà più recarsi nel vostro Paese sentendosi sicuro”.

“E dove non c’è sicurezza non può esserci né amicizia né pace”.

“Presidente, lei ha l’occasione per dimostrare al mondo che è un uomo di parola: consegni i cinque indagati alla giustizia italiana, permetta ai nostri procuratori di interrogarli, dimostri al mondo che la osserva che lei non ha nulla da nascondere. Lei ha il privilegio e l’occasione di fare giustizia, sprecarli sarebbe imperdonabile”.

“Con l’augurio di verità e giustizia”.

Una delle drammatiche testimonianze nell’aula Occorsio del palazzo di giustizia di Roma, chiama in causa il maggiore dei servizi segreti egiziani Magdi Ibrahim Abdel Sharif, imputato assieme al generale Tariq Sabir e ai colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi.

“Sentii dire a Nairobi, in un ristorante nel settembre 2017, (quasi due anni dopo il rapimento del 27enne), dal maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif nel nostro Paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad”.

“Era un problema perché era popolare fra la gente comune”.

“Quando l’abbiamo preso, lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto”.

“Io l’ho colpito”.

“Lo abbiamo fatto a pezzi”

 

 

 

 

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