22 Novembre 2024 04:24
Banche, articolo di Giuseppe SANTORSOLA
Considerazioni non convenzionali sulle decisioni in merito alla Silicon Valley Bank, il Credit Suisse, le mosse della Deutsche Bank.
Banche.Le opportunità per i fondi pensione e i rischi per i sottoscrittori più fragili. E il ruolo della Bce
Le difficoltà gestionali degli intermediari finanziari suscitano preoccupazioni razionali ed irrazionali nei soggetti che con essi hanno rapporti (gli stakeholders).
Comunemente si evidenziano rischi e timori dei depositanti, ma anche i debitori affidati risultano colpiti, in quanto non più in grado di movimentare i flussi finanziari alimentati dalle più comuni tecniche di affidamento in conto corrente.
Anche la funzione di pagamento risulta inficiata dagli stati di crisi.
Anche se taluni degli strumenti più tradizionali forniti e gestiti dalle banche sono ormai in disuso.
Questa nota non intende ripercorrere gli eventi, né ipotizzare scenari più o meno negativi, quanto fornire alcune valutazioni non convenzionali, né diffusamente illustrate nella abbondante
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esposizione di opinioni pubblicate nell’occasione.
Non sottovaluto il rischio di commentare nel durante di una situazione ancora incerta e densa di soluzioni che spesso sorprendono i mercati.
Quando una banca si ritrova in difficoltà si teme la diffusione del malessere e la si definisce utilizzando il confronto con le macchie della pelle di alcuni felini: il leopardo (molte macchie piccole) o il giaguaro (poche macchie grandi).
Gli eventi delle ultime settimane lasciano temere una di queste eventualità – magari un “giagu ardo”, lettura comunque più fair dell’altra suggerita sulla stampa, che accosta le banche in difficoltà agli scarafaggi nel loro insinuarsi progressivo e fastidioso.
Molti sostengono, dati di bilancio alla mano, che il sistema globale delle banche sia solido, o meglio più solido di quanto non lo fosse 15 anni fa.
Sotto un profilo più tecnico, è certamente più capitalizzato, ha quindi una leva depositi/patrimonio molto più bassa, meno esposizioni incrociate su strumenti derivati ad alto leverage ed ha accantonato negli anni parte rilevante delle svalutazioni per il deprezzamento dei crediti NPL e di altre NPE.
Sono in posizione rischiosa i portafogli titoli, specie se con elevata duration e basse cedole, ma in realtà solo se vi fosse necessità di reperire in tal modo liquidità in caso di eccesso di prelievi.
Gli Stati Uniti hanno esteso l’assicurazione anche ai depositi non assicurati e ciò ha suscitato polemiche per la tutela offerta ai depositanti maggiori, quantitativamente prevalenti nel caso della Silicon Valley Bank.
In Svizzera i principi stabiliti con la gerarchia delle fonti di raccolta sono stati stravolti per addossare le perdite ai portatori di obbligazioni subordinate AT1 e non agli azionisti nel caso di Credit Suisse.
Sotto il profilo contrattuale la struttura delle citate obbligazioni subordinate consentiva la scelta, ma la scelta conferma la singolarità della soluzione elvetica estranea alla disciplina comunitaria.
Ad accentuare i timori della diffusione della crisi di fiducia nei confronti delle banche stabilmente più volatili nel valore del proprio attivo, è arrivata la notizia che Deutsche Bank prevede di riacquistare un consistente importo di debito subordinato prima della scadenza.
I titoli interessati dal rimborso, i cosiddetti Fixed to Fixed Reset Rate Subordinated Tier 2 Notes, con scadenza nel 2028, hanno un volume di 1,5mld$. Una fattispecie differente dall’episodio svizzero, perché interno alle UE, legata a un rimborso anticipato e non ad un azzeramento e riferito ad un titolo Tier 2 e non Tier 1 e, quindi, meno junior.
L’ipotesi temuta dagli analisti è quella di una diffusa scelta da parte di altre banche nell’anticipare il rimborso di proprie obbligazioni potenzialmente soggette a pressioni di mercato e al fine di evitare danni reputazionali in caso di vendite estese.
Sottolineo anche il fatto che quelle obbligazioni sono in dollari e quotate alla Borsa statunitense, un legame negativo in termini di appesantimento della crisi globale nel comparto dei mercati “occidentali”.
Inoltre, Deutsche Bank è banca mista, dedita a tutte le attività del credito e delle partecipazioni azionarie, risultando azionista significativo in alcune delle maggiori aziende tedesche, ulteriore fattore di instabilità sistemica in caso di calo della fiducia. Infine, questa banca è stabilmente soggetta a forti perdite e forti profitti nell’evoluzione della propria gestione, ma altrettanto dotata di un elevato coefficiente patrimoniale (in grado di assorbire perdite senza minacciare conseguenze sul passivo a breve termine), nonché di fonti di raccolta a lungo termine, compresi gli pfandbriefe ultra cinquantennali e le obbligazioni perpetual.
È opportuno anche sottolineare come la caduta dei corsi delle obbligazioni con scadenza più lunga, ma emesse da banche comunque giudicate storicamente solide, nonché G-SIB e quindi assistite
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dagli accordi in materia, costituisce opportunità d’acquisto da parte di fondi pensione e compagnie di assicurazioni che si assicurerebbero nel caso rendimenti immediati e, soprattutto, a scadenza interessanti rendimenti effettivi.
Questo aspetto non deve peraltro far dimenticare il rischio di perdite per i sottoscrittori più fragili (per quanto non retail per la disciplina comunitaria, ma inseribili nei portafogli di fondi comuni in ossequio a quanto previsto dalla direttiva UCITS V nei limiti del 10%).
Nell’ambito del breve periodo si deve valutare, quale effetto del timore e quale possibile causa di panico, l’andamento dei credit default swap. Nel caso Deutsche Bank il loro livello ha raggiunto valori vicini al massimo storico e variazioni percentuali oltre i valori precedenti.
Sempre al fine di offrire considerazioni non convenzionali, le banche che hanno deciso di rimborsare titoli che avevano l’opzione callable applicabile, hanno accettato il rischio reputazionale, ridotto le proprie fonti, abbassato i coefficienti patrimoniali non primari (cioè non il CET1 e il Tier1).
Tuttavia il mercato dei bond subordinati, nato per rafforzare le banche senza creare capitale azionario e utilizzando la disponibilità di investitori istituzionali disponibili al rischio di volatilità, servirebbe proprio in momenti di turbolenza a proteggere la leva effettiva e, invece, viene a mancare proprio nella situazione in cui quei bond subordinati sarebbero più utili.
Un effetto indesiderato, questo, delle soluzioni statunitensi e svizzere ribaltate sulla realtà UE, condizionata dalla natura di direttiva della CRD/CRR in vigore in luogo del più flessibile NAC di Basilea. Un’ulteriore evidenza dei personali dubbi (in verità ora più largamente condivisi) sull’efficacia della iper-regolamentazione che condiziona l’elasticità gestionale delle banche comunitarie.
Tuttavia, in conclusione, altri aspetti dell’accordo di Basilea rassicurano circa la situazione effettiva delle banche in area UE.
In particolare, il buffer di capitale anticiclico (CCyB) concepito per contrastare la pro-ciclicità nel sistema finanziario viene mantenuto al livello 0%.
Quando si ritiene che il rischio sistemico ciclico sia in aumento, gli enti sono richiesti di accumulare capitale per creare riserve che rafforzino la resilienza del settore bancario durante i periodi di stress in cui le perdite si materializzano.
In termini numerici, costituiscono fattori di conforto i valori del Net Stable Capital Ratio (NSCR) e del Liquidity Coverage Ratio (LCR), i due fattori introdotti dopo le crisi finanziarie del 2008 e del 2012, che rappresentano due coefficienti certamente esenti dalle critiche esposte in merito ad altri elementi citati in precedenza.
Più che la potenziale debolezza del sistema bancario nelle sue unità, si deve guardare con attenzione al comportamento della BCE, della quale si valuta il complesso della sua azione
il prevalere della scelta sistemica (conforme, peraltro, al suo Statuto e alla sua missione) in merito alla lotta contro l’inflazione e la scelta restrittiva che governa sia il Consiglio Direttivo nelle sue strategie di politica monetaria, sia il Comitato Esecutivo nella sua applicazione operativa. Questo dopo un lungo periodo di “easing” nel quale molte banche si sono adagiate, speriamo non colpevolmente.
Non è questa l’occasione per esprimere valutazioni o critiche, ma il persistere di posizioni non concordi all’interno degli organi determina una lettura incerta degli operatori e può suscitare allarmi anche (speriamo) non giustificati.
Un contesto di fatto, anche se non di forma, che alimenta un dubbio sull’azione di una Banca Centrale, che media venti politiche economiche e altrettanti sistemi bancari certamente non omogenei.
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