Banche: le ragioni per rassicurare e quelle per temere

Banche, articolo di Giuseppe SANTORSOLA

 Considerazioni non convenzionali sulle decisioni in merito alla Silicon Valley Bank, il Credit  Suisse, le mosse della Deutsche Bank.

Dibattito sulla fissazione di un limite all’utilizzo del contante
Prof. Giuseppe Santorsola

Banche.Le opportunità per i fondi pensione e i rischi per i  sottoscrittori più fragili. E il ruolo della Bce 

Le difficoltà gestionali degli intermediari finanziari suscitano preoccupazioni razionali ed  irrazionali nei soggetti che con essi hanno rapporti (gli stakeholders).

Comunemente si evidenziano  rischi e timori dei depositanti, ma anche i debitori affidati risultano colpiti, in quanto non più in  grado di movimentare i flussi finanziari alimentati dalle più comuni tecniche di affidamento in  conto corrente.

Anche la funzione di pagamento risulta inficiata dagli stati di crisi.

Anche se taluni  degli strumenti più tradizionali forniti e gestiti dalle banche sono ormai in disuso. 

Questa nota non intende ripercorrere gli eventi, né ipotizzare scenari più o meno negativi, quanto  fornire alcune valutazioni non convenzionali, né diffusamente illustrate nella abbondante

esposizione di opinioni pubblicate nell’occasione.

Non sottovaluto il rischio di commentare nel  durante di una situazione ancora incerta e densa di soluzioni che spesso sorprendono i mercati. 

Quando una banca si ritrova in difficoltà si teme la diffusione del malessere e la si definisce  utilizzando il confronto con le macchie della pelle di alcuni felini: il leopardo (molte macchie  piccole) o il giaguaro (poche macchie grandi). 

Gli eventi delle ultime settimane lasciano temere una di queste eventualità – magari un “giagu ardo”, lettura comunque più fair dell’altra suggerita sulla stampa, che accosta le banche in difficoltà  agli scarafaggi nel loro insinuarsi progressivo e fastidioso. 

Molti sostengono, dati di bilancio alla mano, che il sistema globale delle banche sia solido, o meglio  più solido di quanto non lo fosse 15 anni fa.

Sotto un profilo più tecnico, è certamente più  capitalizzato, ha quindi una leva depositi/patrimonio molto più bassa, meno esposizioni incrociate  su strumenti derivati ad alto leverage ed ha accantonato negli anni parte rilevante delle svalutazioni  per il deprezzamento dei crediti NPL e di altre NPE.

Sono in posizione rischiosa i portafogli titoli,  specie se con elevata duration e basse cedole, ma in realtà solo se vi fosse necessità di reperire in tal  modo liquidità in caso di eccesso di prelievi. 

Gli Stati Uniti hanno esteso l’assicurazione anche ai depositi non assicurati e ciò ha suscitato  polemiche per la tutela offerta ai depositanti maggiori, quantitativamente prevalenti nel caso della  Silicon Valley Bank.

In Svizzera i principi stabiliti con la gerarchia delle fonti di raccolta sono stati  stravolti per addossare le perdite ai portatori di obbligazioni subordinate AT1 e non agli azionisti  nel caso di Credit Suisse.

Sotto il profilo contrattuale la struttura delle citate obbligazioni  subordinate consentiva la scelta, ma la scelta conferma la singolarità della soluzione elvetica  estranea alla disciplina comunitaria. 

Ad accentuare i timori della diffusione della crisi di fiducia nei confronti delle banche stabilmente  più volatili nel valore del proprio attivo, è arrivata la notizia che Deutsche Bank prevede di  riacquistare un consistente importo di debito subordinato prima della scadenza.

I titoli interessati dal  rimborso, i cosiddetti Fixed to Fixed Reset Rate Subordinated Tier 2 Notes, con scadenza nel 2028,  hanno un volume di 1,5mld$. Una fattispecie differente dall’episodio svizzero, perché interno alle  UE, legata a un rimborso anticipato e non ad un azzeramento e riferito ad un titolo Tier 2 e non Tier  1 e, quindi, meno junior.  

L’ipotesi temuta dagli analisti è quella di una diffusa scelta da parte di altre banche nell’anticipare il  rimborso di proprie obbligazioni potenzialmente soggette a pressioni di mercato e al fine di evitare  danni reputazionali in caso di vendite estese.

Sottolineo anche il fatto che quelle obbligazioni sono  in dollari e quotate alla Borsa statunitense, un legame negativo in termini di appesantimento della  crisi globale nel comparto dei mercati “occidentali”.  

Inoltre, Deutsche Bank è banca mista, dedita a tutte le attività del credito e delle partecipazioni  azionarie, risultando azionista significativo in alcune delle maggiori aziende tedesche, ulteriore  fattore di instabilità sistemica in caso di calo della fiducia. Infine, questa banca è stabilmente  soggetta a forti perdite e forti profitti nell’evoluzione della propria gestione, ma altrettanto dotata di  un elevato coefficiente patrimoniale (in grado di assorbire perdite senza minacciare conseguenze sul  passivo a breve termine), nonché di fonti di raccolta a lungo termine, compresi gli pfandbriefe ultra  cinquantennali e le obbligazioni perpetual. 

È opportuno anche sottolineare come la caduta dei corsi delle obbligazioni con scadenza più lunga,  ma emesse da banche comunque giudicate storicamente solide, nonché G-SIB e quindi assistite 

dagli accordi in materia, costituisce opportunità d’acquisto da parte di fondi pensione e compagnie  di assicurazioni che si assicurerebbero nel caso rendimenti immediati e, soprattutto, a scadenza  interessanti rendimenti effettivi.  

Questo aspetto non deve peraltro far dimenticare il rischio di perdite per i sottoscrittori più fragili  (per quanto non retail per la disciplina comunitaria, ma inseribili nei portafogli di fondi comuni in  ossequio a quanto previsto dalla direttiva UCITS V nei limiti del 10%).

Nell’ambito del breve  periodo si deve valutare, quale effetto del timore e quale possibile causa di panico, l’andamento dei  credit default swap. Nel caso Deutsche Bank il loro livello ha raggiunto valori vicini al massimo  storico e variazioni percentuali oltre i valori precedenti. 

Sempre al fine di offrire considerazioni non convenzionali, le banche che hanno deciso di  rimborsare titoli che avevano l’opzione callable applicabile, hanno accettato il rischio  reputazionale, ridotto le proprie fonti, abbassato i coefficienti patrimoniali non primari (cioè non il  CET1 e il Tier1).

Tuttavia il mercato dei bond subordinati, nato per rafforzare le banche senza  creare capitale azionario e utilizzando la disponibilità di investitori istituzionali disponibili al rischio  di volatilità, servirebbe proprio in momenti di turbolenza a proteggere la leva effettiva e, invece,  viene a mancare proprio nella situazione in cui quei bond subordinati sarebbero più utili.  

Un effetto indesiderato, questo, delle soluzioni statunitensi e svizzere ribaltate sulla realtà UE,  condizionata dalla natura di direttiva della CRD/CRR in vigore in luogo del più flessibile NAC di  Basilea. Un’ulteriore evidenza dei personali dubbi (in verità ora più largamente condivisi)  sull’efficacia della iper-regolamentazione che condiziona l’elasticità gestionale delle banche  comunitarie. 

Tuttavia, in conclusione, altri aspetti dell’accordo di Basilea rassicurano circa la situazione effettiva  delle banche in area UE.

In particolare, il buffer di capitale anticiclico (CCyB) concepito per  contrastare la pro-ciclicità nel sistema finanziario viene mantenuto al livello 0%.

Quando si ritiene  che il rischio sistemico ciclico sia in aumento, gli enti sono richiesti di accumulare capitale per  creare riserve che rafforzino la resilienza del settore bancario durante i periodi di stress in cui le  perdite si materializzano.

In termini numerici, costituiscono fattori di conforto i valori del Net  Stable Capital Ratio (NSCR) e del Liquidity Coverage Ratio (LCR), i due fattori introdotti dopo le  crisi finanziarie del 2008 e del 2012, che rappresentano due coefficienti certamente esenti dalle  critiche esposte in merito ad altri elementi citati in precedenza. 

Più che la potenziale debolezza del sistema bancario nelle sue unità, si deve guardare con attenzione  al comportamento della BCE, della quale si valuta il complesso della sua azione

il prevalere della  scelta sistemica (conforme, peraltro, al suo Statuto e alla sua missione) in merito alla lotta contro  l’inflazione e la scelta restrittiva che governa sia il Consiglio Direttivo nelle sue strategie di politica  monetaria, sia il Comitato Esecutivo nella sua applicazione operativa. Questo dopo un lungo  periodo di “easing” nel quale molte banche si sono adagiate, speriamo non colpevolmente. 

Non è questa l’occasione per esprimere valutazioni o critiche, ma il persistere di posizioni non  concordi all’interno degli organi determina una lettura incerta degli operatori e può suscitare allarmi  anche (speriamo) non giustificati.

Un contesto di fatto, anche se non di forma, che alimenta un  dubbio sull’azione di una Banca Centrale, che media venti politiche economiche e altrettanti sistemi  bancari certamente non omogenei.

 

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