26 Dicembre 2024 22:22
I profitti possono essere extra? Ha suscitato reazioni la decisione del Consiglio dei Ministri di introdurre, senza preavviso e comunicazione preventiva (il che di per sé non è scorretto):
un tributo addizionale straordinario (quindi in ipotesi non ripetibile) del 40% denominato (non correttamente) sugli extra-profitti realizzati dalle banche nel corso del 2023.
Non è ben definito se si tratta di tassa (finalizzata al beneficio dei debitori di mutui), di imposta
(genericamente destinata alla politica fiscale) o addirittura di accisa (che colpisce un margine o prezzo e non un profitto).
La imposizione proposta dal ministro del MEF, condivisa e approvata dal Consiglio dei ministri nasce sulla scia di norme già applicate in Europa in materia di extra margini bancari (appunto non sui profitti).
La misura, ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1 % del totale dell’attivo della banca debitrice 4mld€ circa nell’ipotesi massima e 2,5mld€ se limitata alle banche maggiori).
La base imponibile è invece determinata dal maggior valore tra:
- l’ammontare del margine d’interesse (voce 30 del conto economico, secondo gli schemi approvati dalla Banca d’Italia), relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 che eccedesse di almeno il 5% il margine dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1/1/2022
- l’ammontare del medesimo margine di interesse, relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 che eccedesse il 10% del medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1/1/2022.
Una soluzione alternativa alla deducibilità (invero, inizialmente non prevista) potrebbe essere quella del credito di imposta.
Per cui a fronte del pagamento del tributo da parte delle banche nel corso del 2024, verrebbe riconosciuto
un credito di imposta (di ammontare pari o inferiore all’ammontare pagato) utilizzabile negli anni successivi (in ipotesi 5 o 10) per compensare le normali imposte da pagare in futuro.
Questo schema garantirebbe un gettito di risorse più elevato per lo Stato nel breve termine e la possibilità di un recupero – almeno parziale – dell’ammontare pagato dalle banche in un orizzonte temporale definito.
Nel frattempo, la BCE ha confermato che nei prossimi giorni invierà un parere (presumibilmente negativo) non vincolante sul tributo a carico delle banche da lei vigilate
così come già avvenuto per altri Paesi che hanno deciso di applicare una addizionale sul settore.
Gli istituti bancari che avessero già adeguato i propri tassi pagati sulle attività di raccolta, come raccomandato da tempo con specifica nota da Bankitalia e ripresa dal ministro Giorgetti nell’assemblea Abi del 5 luglio, non subiranno impatti significativi dal nuovo tributo.
L’intervento è quindi leggibile per taluni come una reazione coattiva conseguente al mancato recepimento dell’orientamento al rialzo suggerito.
Come si può denotare, la scelta è stata introdotta di sorpresa, ma anche senza un disegno organizzativo del tutto preciso e rigoroso
. In particolare, le proposte di modifica, pubblicamente suggerite da forze riconducibili alla maggioranza che dovrebbe approvare il decreto, sono tre:
- escludere dall’ambito di tassazione le banche che non rientrano sotto il controllo della BCE (1), ovvero i piccoli istituti, le banche di prossimità e quelle non orientate verso le funzioni tradizionali;
- rendere la tassazione fiscalmente deducibile (ipotesi inizialmente non prevista);
- la misura di tassazione deve essere confermata come una tantum.
- Le banche italiane soggette alla vigilanza EU sono 12: UniCredit, Intesa SanPaolo, Mps, Mediobanca (con bilancio chiuso al 30/6), Iccrea, Finecobank, Credem, Cassa Centrale Banca, BPER, Banco Bpm, Banca Popolare di Sondrio, Banca Mediolanum.
In caso di deducibilità della tassa, la stima del peso del prelievo si ridurrebbe a circa 1.5-1.6mld€ dai circa 2/4mld€ delle prime versioni.
Per completezza, segnalo che il progetto dovrebbe essere completato (anche per inquadrarne la sottostante strategia) con una misura sui crediti deteriorati (NPL) di famiglie e PMI da introdurre nella legge di bilancio 2024.
La misura potrebbe riguardare solo le posizioni dei debitori di crediti deteriorati tra gennaio 2015 a gennaio 2021, pagando ai servicer, che ne gestiscono il recupero, il valore a cui la banca li aveva al tempo ceduto ai fondi, maggiorato del 20%.
La proposta vale per crediti deteriorati fino a un valore nominale da definire.
L’altro vantaggio per debitori sarebbe in particolare la cancellazione della segnalazione di inadempienza dalla Centrale rischi.
Oltre ai vantaggi per i debitori, la proposta ha valore per i debt purchaser che acquistano direttamente le esposizioni deteriorate per: (i)
i capital gain in caso di esercizio della opzione; (ii) la riduzione costi e tempi di recupero; (iii) la liberazione di capitale proprio.
E’ opportuno valutare la proposta in questa visione completa per comprenderne la complessiva valenza tecnica. Un approccio poco considerato nei commenti prevalenti.
Tornando al tema principale di questa nota. le prime trimestrali del 2023 hanno evidenziato segnali eccezionali (quindi non ripetibili) per le banche italiane;
specie per quelle maggiori, che mediamente hanno incrementato gli utili di oltre il 60% in 12 mesi superando gli 11mld€ (circa 5mld€ tassabili nel caso al 40%).
Il Roe ha raggiunto il 13,7%, mentre gli stress test dell’EBA hanno confermato come il progressivo innalzamento dei tassi da parte della Bce abbia innalzato il margine di interesse (+56% a quasi 19mld€) e, allo stato attuale, sia destinato a far sentire i suoi effetti benefici sui bilanci degli istituti di credito non solo per tutta la seconda parte dell’anno, ma probabilmente per buona parte del 2024.
in attesa di un, eventuale e non certo, decimo rialzo consecutivo dei tassi della BCE Oltre alla stretta monetaria, l’altro volano per gli utili delle banche è la grande tenuta dimostrata da famiglie e imprese – grazie rispettivamente a risparmi e patrimonializzazione – che ha fortemente ridotto gli accantonamenti per perdite su crediti (-57% a 1,5mld€).
Più in generale, si attende un ulteriore consolidamento dei risultati, anche per le banche regionali, il quale potrebbe creare opportunità di scala utili a compensare i maggiori costi derivanti dal contesto normativo più complesso, e un maggiore slancio nelle ristrutturazioni bancarie ancora ritenute necessarie.
Delineata la natura tecnica del tributo e la sua estraneità al trattamento del reddito dell’impresa bancaria, se ne possono esaminare gli elementi erronei e/o di debolezza.
Si tratta di un tributo sbagliato tecnicamente, perché distorce l’allocazione del credito; è scorretto dal punto di vista della comunicazione, è poco rispettoso degli interessi dei mercati e dei relativi investitori. Inoltre, colpisce un elemento intermedio del bilancio suscitando la tentazione di modificare tatticamente la gestione per influenzare la formazione dello stesso margine.
Le banche tendono già a ridurre il volume dei prestiti, mostrano segnali di stress in settori come quello degli immobili commerciali e questo potrebbe influire sulla qualità del credito nei bilanci.
Le banche prenderanno in considerazione operazioni di cessione di portafoglio di deteriorati o attività non strategiche per migliorare i coefficienti patrimoniali. La spinta alle aggregazioni negli ultimi anni in Italia è stata molto forte, sia per ricercare redditività sia per modernizzare business model basati prevalentemente sull’attività tradizionale del prestito.
Alcuni soggetti potrebbero decidere di modificare il loro business per non creare margine e/o restare sotto i coefficienti di aumento previsti.
Un autogol per lo Stato che si troverebbe con minori sottoscrizioni dei propri titoli (le cui cedole contribuiscono al margine) oppure un invito a dedicarsi a linee di business diverse dalla raccolta e dal credito. Un altro errore dal punto di vista del mercato e della sua libertà di azione; come se si decidesse di sovra-tassare i cellulari e non i PC per la Apple oppure le spese alimentari e non quelle di pulizia per un supermercato.
Infine, un’ulteriore considerazione; le banche hanno subito forti contrazioni dei propri margini (non analizzo volutamente quella dei redditi) dal 2016 al 2022.
Colpire la prima evidente inversione di tendenza non è soluzione oggettivamente equa coerente con gli intendimenti tipici della scienza dei tributi.
Resta inoltre incoerente il rapporto con la pressione verso la capitalizzazione (ridotta in virtù dell’imposizione straordinaria), nonché con le esigenze di proseguire e non alimentare ulteriormente la formazione di nuovi NPL e la ordinata gestione di quelli ancora da ammortizzare.
Quindi? Un liberista non può condividere pienamente una misura tributaria unidirezionale;
se ne può accettare la natura eccezionale e transitoria e la valuterei più correttamente come un’accisa.
Qualche banchiere innovativo potrebbe invece alzare i tassi passivi per ridurre il margine; un altro autogol per l’emittente Tesoro le cui cedole si vedrebbero raggiunte dai tassi sulla raccolta.
Altri banchieri potrebbero invece deviare risorse verso operazioni finanziarie i cui utili restano tassati in via ordinaria e al netto delle eventuali perdite. Infine, eventuali banche escluse dal provvedimento incontrerebbero un’interessante opportunità di soddisfare meglio la propria e una nuova clientela.
Infine, se i tassi di sistema iniziassero a scendere? Ricordando Modigliani, la proposta è un driver non corretto!
GIUSEPPE G. SANTORSOLA
Professore Ordinario di Asset Management,
Corporate Finance e Corporate & Investment Banking.
Università Parthenope di Napoli
[email protected]
335 5696351
@GiuseppeGSantor
Università degli Studi di Napoli
“Parthenope”
Dipartimento di Eccellenza di
Studi Aziendali e Quantitativi
Via G. Parisi, 13 – 80132 Napoli