8 Dicembre 2024 19:51
Pablo Picasso a Palazzo Reale
Fino al 2 febbraio 2025 al Palazzo Reale a Milano è visitabile la mostra Picasso lo straniero, un allestimento a cura di Annie Cohen-Solal e Cécile Debray che raccoglie oltre 90 opere dell’artista. Disegni, bozzetti, dipinti, sculture, ceramiche, documenti, fotografie, lettere e video, che affrontano tematiche urgenti del nostro presente.
Pittore, scultore, poeta e drammaturgo spagnolo, ma anche pacifista e comunista dichiarato, Pablo Picasso documentò i conflitti più brutali del suo tempo: la guerra civile spagnola, gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e la guerra di Corea. Diede vita al Cubismo e poi aderì anche al movimento surrealista.
Picasso e la Francia
Alla fine dell’estate del 1900 decise di trasferirsi a Parigi. Nel 1901 viene schedato per sbaglio come anarchico sottoposto a sorveglianza speciale.
Era solito frequentare i quartieri di Montmartre e Montparnasse, annoverando tra le sue amicizie Georges Braque, André Breton, Guillaume Apollinaire e la scrittrice Gertrude Stein. A Montmartre incontrò molti compatrioti tra cui Pedro Manyac, e fu ospite del pittore Isidro Nonell. Non furono momenti facili dal punto di vista economico, nonostante le importanti amicizie che strinse in questi anni, tra cui quella con il critico e poeta Max Jacob che cercava di sostenerlo economicamente in ogni modo.
Nel settembre 1936 fu nominato direttore del Museo del Prado dal Governo della Repubblica e nello stesso anno realizzò il dipinto Guernica, tela dedicata al bombardamento dell’omonima cittadina basca, per il Padiglione della Spagna repubblicana al Salone internazionale di Parigi.
Durante la seconda guerra mondiale Picasso rimase a Parigi occupata dai tedeschi. Il regime nazista disapprovava il suo stile, pertanto non gli fu permesso di esporre. Nel 1940, temendo di essere in pericolo in Francia, dove l’invasione nazista è imminente, Picasso decide di inoltrare la domanda di naturalizzazione che viene rifiutata.
Picasso lo Straniero
Come ha fatto, in un secolo caratterizzato da grandi turbolenze politiche, in un mondo dilaniato da nazionalismi di ogni specie, a imporre le sue rivoluzioni estetiche?
Guardato con sospetto come straniero, uomo di sinistra, artista d’avanguardia, si destreggia con abilità e acume politico in un paese che poggia su due grandi istituzioni: la police des étrangers e l’Académie des beaux-arts, che tutelano ossessivamente la «purezza della nazione» e il «buon gusto francese». Mentre le opere di Picasso vengono celebrate nel mondo intero, fino al 1947 ce ne sono soltanto due nelle collezioni pubbliche francesi.
Nel 1955, quando Picasso lascia Parigi per stabilirsi nel sud della Francia, sceglie di lavorare con gli artigiani del posto, voltando deliberatamente le spalle alla tradizione del bon goût: decide insomma di reimmergersi nel mondo mediterraneo, nel sincretismo originario delle sue molteplici identità, consegnando il proprio mito al vasto mondo.
Ma come ha fatto a conciliare i suoi numerosissimi ambiti di appartenenza – spagnolo, francese, andaluso, catalano, galiziano, castigliano, anarchico, comunista? E come ha fatto, in un secolo caratterizzato da grandi turbolenze politiche (due guerre mondiali, una guerra civile, una guerra fredda), in un mondo dilaniato da nazionalismi di ogni specie, a imporre le sue rivoluzioni estetiche?
Picasso lo straniero ambisce a rispondere a queste domande. Il fatto che il più grande artista del Novecento sia stato schedato e marchiato dalla polizia perché straniero dovrebbe farci riflettere sugli attuali rigurgiti di ordinaria xenofobia.
Informazioni
Una mostra organizzata da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Marsilio Arte, Musée national Picasso – Paris, Palais de la Porte Dorée, Collection Musée Magnelli Musée de la céramique, Vallauris.
Apertura da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30.
Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
https://www.palazzorealemilano.it/mostre/lo-straniero
Il percorso della mostra
1900-1906, un anarchico sotto sorveglianza
Dopo tre tentativi falliti fra il 1900 e il 1904, Picasso riesce finalmente a stabilirsi a Parigi. Con l’aiuto degli amici catalani, trova posto in mezzo a loro a Montmartre, zona collinare periferica a nord della capitale, da sempre gremita di marginali: artisti, attori, circensi, forestieri. La società francese attraversa un periodo tormentato dopo decenni di attentati anarchici.
Tra il 1894 e il 1901, mentre si prepara ad affrontare il nuovo secolo ed è già in preda all’instabilità determinata dalla rapida industrializzazione e dall’invecchiamento della popolazione, il Paese viene travolto da un’ondata di violenza. L’assassinio del presidente della Repubblica Sadi Carnot, perpetrato dall’anarchico italiano Sante Geronimo Caserio, va inquadrato in un contesto di tensioni politiche e sociali di cui il caso Dreyfus è soltanto il sintomo più eclatante.
In questo clima pesante, una certa frangia della popolazione comincia a prendere posizione su un problema nuovo: l’immigrazione. Nel 1898 lo scrittore Maurice Barrès prende di mira “lo straniero che, come un parassita, ci avvelena”. Parigi è un labirinto oscuro per Pablo Ruiz Picasso, il giovane artista che non ne conosce né la lingua né i codici.
1906-1919, capofila dell’avanguardia
Nel 1906, dopo aver provato l’ebrezza della libertà tra i contrabbandieri dei Pirenei, Picasso torna a Parigi e, assecondato da Georges Braque, si immerge in una nuova fase creativa, sicuramente la più grandiosa della sua esistenza, che gli consentirà di diventare il capofila dell’avanguardia cubista. In sette anni di frenetica attività, tra provocazione e trasgressione dei canoni tradizionali, gli artisti danno vita a una vasta e impressionante produzione.
Guardato con diffidenza dall’establishment parigino, il Cubismo viene osannato dai collezionisti e dai critici tedeschi che operano a Parigi, che propongono e promuovono la nuova tendenza nei grandi imperi dell’Europa nord-orientale. Nuove mostre, nuove collezioni: Picasso diventa celebre e ricco. Ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale si solleva un’ondata di isteria germanofoba e il governo francese confisca tutta la produzione cubista di Picasso custodita dal suo mercante d’arte tedesco, Daniel-Henry Kahnweiler. Centinaia di suoi quadri sono ormai “bottino di guerra” e l’artista diventa una vittima collaterale della xenofobia dilagante.
1917-1939, artista tormentato
Classico, cubista, surrealista, politico… Non è facile proporre in sintesi la varietà di stili espressi da Picasso, specialmente tra le due guerre mondiali. Tra scenografia teatrale, scultura, disegno, incisione, poesia, vignettismo politico, la creatività picassiana non conosce limiti e frontiere. “Picasso è una specie di moto perpetuo”, ha scritto un critico. “Lo cerchi di qua ed è già andato di là, e non ripercorre mai le stesse strade”. A dire il vero, sono stati per lui anni difficili, segnati dall’ascesa dei fascismi che precipitano l’Europa nella Seconda guerra mondiale.
Forestiero in Francia, artista degenerato per la Germania nazista, nemico della Spagna franchista, Picasso è persona non grata; è un artista inafferrabile la cui creatività risente della situazione circostante. Essendo straniero, è costretto a presentarsi alle autorità ad anni alterni e rifare le impronte digitali al commissariato di polizia che continua a tenerlo sotto sorveglianza. Durante la guerra civile spagnola, in pochi giorni elabora e produce Guernica, il suo capolavoro, che diventerà l’opera d’arte più famosa del mondo nonché il gesto di protesta più clamoroso contro l’assassinio di civili innocenti. “Il Vecchio mondo si è suicidato”, commenta con formula lapidaria lo scrittore-antropologo Michel Leiris.
1923-1945, nella sfera dei Surrealisti
Nei primi anni Venti, i giovani poeti surrealisti, scorati dalla carneficina della Grande guerra, si volgono verso Picasso che, come scrive André Breton, è “l’unico autentico genio del nostro tempo, un artista come non ce ne sono stati mai, eccetto forse nell’Antichità”. A partire dal 1923, Picasso, scoperto, ammirato, celebrato e cooptato da Louis Aragon, André Breton, Paul Éluard, viene trascinato in questa galassia sovversiva costellata di nomi leggendari, tutti seguaci del Dadaismo, che gli consente di tornare al suo ambiente delle origini, quello dei poeti.
In passato, le opere cubiste di Picasso erano state fervidamente ammirate dagli artisti e dagli intellettuali d’avanguardia di Paesi appartenenti all’Impero austro-ungarico, all’Impero russo, all’Impero prussiano. Per oltre un decennio Picasso è l’eroe e la fonte di ispirazione dei surrealisti, un nume tutelare suo malgrado; produce la serie dei cosiddetti “quadri magici”, gremiti di forme antropomorfiche sproporzionate e stravaganti in cui “risuona la legge polifonica degli opposti” e domina l’evocazione dei “demoni interiori”. Anche Dalí, Miró e Giacometti ben presto si uniscono al coro degli ammiratori appassionati di Picasso.
1944-1955, nel partito comunista francese
Il 4 ottobre del 1944 Picasso diventa ufficialmente membro del Partito comunista francese. L’indomani, “L’Humanité” annuncia la notizia in prima pagina, con un titolo a caratteri cubitali e accenti altisonanti. Picasso dirà: “Avevo talmente fretta di avere di nuovo una patria! Sono sempre stato un esule, non lo sono più”. L’artista pensa che il partito potrà fungere da scudo protettivo, da rampa di lancio, da salvacondotto, e non si sbaglia. Anche se molto presto affiorano i primi dissapori con i quadri più ortodossi del partito, l’artista riesce a conservare intatta la propria libertà. Picasso viene contattato dai sindaci comunisti di varie cittadine francesi e dona volentieri varie opere ai musei di tutta la Francia.
Picasso esercita un nuovo ruolo politico: l’artista invisibile diventa munifico donatore, il paria diventa mecenate, il rinnegato diventa benefattore, l’escluso diventa nume tutelare. Nel 1953 si scatena un putiferio quando, al momento delle esequie del leader sovietico, Picasso ne produce un ritratto ironico, Portrait de Staline, ma la questione si risolve con l’intervento di Maurice Thorez, segretario generale del PCF nonché amico di Picasso, il quale sa che il potere simbolico dell’artista a livello mondiale è essenziale per il partito. Picasso non viene punito né redarguito: la libertà è salva.
1944-1973, sviluppo e prosperità
Dopo la Liberazione, spazzato via il nazismo, il generale de Gaulle sale al potere e per la Francia inizia una nuova èra, successivamente nota come “les Trente Glorieuses”, i trent’anni gloriosi del boom economico. Anche per il Partito comunista francese (detto “il partito dei fucilati” in ragione dell’ingente tributo di sangue pagato durante la Resistenza) comincia una nuova fase, in quanto vari esponenti del partito entrano a far parte del nuovo governo. Il Partito comunista procede al rafforzamento del MOI (Main d’Œuvre Immigrée, l’organizzazione sindacale dei lavoratori immigrati nata nel 1921), cercando di mobilitare le masse di rifugiati politici (spagnoli, italiani, ebrei tedeschi e polacchi) che costituiscono una notevole risorsa rivoluzionaria da immettere anche nella Terza Internazionale.
Nel mondo comunista Picasso è conosciuto per le sue idee politiche, nelle città e nelle comunità operaie francesi è rispettato, come peraltro ormai nei musei nazionali d’arte contemporanea del paese. Il ministero dell’Interno approva la delibera dei Comuni che gli attribuiscono la cittadinanza onoraria. Grazie alla rete di contatti e conoscenze che si è pazientemente costruito con l’andare del tempo, Picasso consolida la costruzione della propria immagine.
Paolo Franzato
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