Jolanda Crivelli, la ragazza spezzata dall’odio

 

Jolanda Crivelli aveva solo vent’anni.

Una vita intera davanti a sé Jolanda Crivelli

Un amore perduto troppo presto, in una guerra che non aveva scelto.

Era vedova di un ufficiale del Battaglione M, ucciso a Bologna in un agguato dei sapisti.

 

Il 26 aprile 1945, Jolanda tornò a Cesena.

Voleva solo riabbracciare sua madre.

Voleva solo casa, pace, silenzio.

Ma trovò l’inferno.

 

La riconobbero subito.

Gridarono il suo nome con disprezzo.

“È una fascista! È moglie di un fascista!”

Non ebbe scampo.

 

La catturarono.

La picchiarono senza pietà.

La trascinarono per le strade, nuda, umiliata.

Fu violentata.

Fu torturata.

Fu annientata.

 

In una Cesena ubriaca di odio e vendetta, Jolanda Crivelli divenne un trofeo.

Una lezione di sangue.

Fu legata a un albero davanti al carcere.

Fucilata.

E lasciata lì, nuda, esposta per due lunghi giorni.

 

Nessuna pietà.

Nessuna voce che si levasse in suo aiuto.

Solo sputi.

Solo insulti.

Solo silenzio.

 

Una memoria negata

 

Oggi, ogni 25 aprile, l’Italia celebra la Liberazione.

Celebra la libertà ritrovata.

Celebra la fine di un incubo.

 

Ma di Jolanda Crivelli nessuno parla.

Nessuna cerimonia.

Nessuna lapide.

Nessuna lacrima ufficiale.

 

Eppure era italiana anche lei.

Aveva diritto anche lei a vivere.

A scegliere.

A sperare.

 

Jolanda Crivelli non era un mostro.

Non era una carnefice.

Era solo una ragazza.

Una ragazza nata nel tempo sbagliato, nel posto sbagliato.

 

La verità fa paura

 

La sua storia è scomoda.

Fa male.

Sporca il racconto semplice dei buoni contro i cattivi.

 

Eppure, senza verità, la memoria è vuota.

È un esercizio sterile.

È una bugia.

 

Ci sono stati eroi tra i partigiani.

Ci sono stati assassini tra i partigiani.

Ci sono state vittime tra i fascisti.

Ci sono state vittime ovunque.

 

Jolanda Crivelli fu una vittima.

Una giovane innocente spezzata dalla furia.

 

Perché ricordarla

 

Ricordare Jolanda Crivelli non significa giustificare il fascismo.

Non significa cancellare la Liberazione.

Significa avere il coraggio di guardare in faccia tutta la storia.

Senza filtri.

Senza paure.

 

Significa dire che ogni vita conta.

Che ogni giovane ucciso è una ferita che resta.

Che l’odio, da qualunque parte venga, è sempre una sconfitta.

 

Il coraggio della memoria

 

Non c’è giustizia senza memoria completa.

Non c’è pace senza riconciliazione.

 

Jolanda Crivelli merita un fiore.

Merita un pensiero.

Merita che il suo nome non venga più sepolto sotto l’imbarazzo e il silenzio.

 

Era solo una ragazza.

Aveva paura.

Soffriva.

E morì sola.

 

Perché?

 

Perché l’odio, quando esplode, divora tutto.

Anche il senso stesso della giustizia.

Anche la pietà.

 

Una ferita ancora aperta

 

Il corpo nudo di Jolanda Crivelli legato a un albero non è solo una vergogna del passato.

È un ammonimento per oggi.

È il segno che l’odio ideologico, quando vince, cancella l’umanità.

 

Tutti vogliono raccontare i vincitori.

Pochi vogliono ascoltare i vinti.

Eppure, la storia vera vive nei dettagli dimenticati.

Nei nomi cancellati.

Nei dolori taciuti.

 

Non dimentichiamola

 

Oggi, mentre celebriamo la libertà, ricordiamo anche chi non ha avuto nessuna libertà.

Ricordiamo chi ha pagato con la vita solo per avere un nome, un cognome, un amore, una fede.

 

Ricordiamo Jolanda Crivelli.

Ricordiamola senza odio.

Ricordiamola come si ricordano i propri morti.

Con verità.

Con rispetto.

Con pietà.

 

 

 

 

 

Condividi sui social