19 Settembre 2025 00:38
La verità sulla morte di Laura Lanza, la baronessa di Carini, lo scheletro ritrovato e le nuove indagini a cura dello scrittore e ricercatore Vito Badalamenti
Sulla tragica morte della 35enne Laura Lanza di Trabia, passata alla storia come la baronessa di Carini, si sono tramandate per secoli versioni contranti, tra miti leggende popolari, canti antichi e leggende.
A distanza di quasi 5 secoli, una nuova luce sembra illuminare questa vicenda, svelando una realtà ben più “cruda” e complessa.
Laura madre di 8 figli, potrebbe essere stata vittima non di un delitto d’onore – come spesso si è voluto raccontare – bensì di un vero e proprio femminicidio avvenuto nel pieno del Rinascimento.
Un delitto forse dettato dall’avidità di denaro del marito, che s’intreccia con giochi di potere, intrighi e malaffare.
Un omicidio maturato all’interno di un intreccio di avidità, interessi economici, giochi di potere e malaffare, in cui il marito don Vincenzo La La Grua, avrebbe avuto un ruolo chiave.
A cercare la verità, con passione e rigore p il ricercatore e scrittore Vito Badalamenti, fondatore dell’Associazione Culturale Nord America Carini IOD.
Grazie a questo lavoro costellato da minuziose ricerche storiche e documenti, si stanno ricostruendo i fatti reali, dando voce ad una verità che per troppo tempo è rimasta sepolta sotto strati di folclore e reticenze.
L’Associazione Culturale Nord America Carini IOD, fondata circa 14 anni fa e oggi presieduta da Federico Davì, si dedica alla promozione della cultura e dell’identità di Carini (PA), ponendosi come ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti, il suo obiettivo è chiaro : trasmettere e valorizzare la storia, le tradizioni ed il patrimonio culturale carinese, affinché la memoria non venga mai tradita – soprattutto quando si tratta di restituire giustizia ad una figura come quella della baronessa di Carini, Laura Lanza.
La vita di Laura Lanza di Trabia
Laura Lanza di Trabia (1529-1563) fu la primogenita di Cesare Lanza Conte di Musumeli, e Lucrezia Gaetani, nobildonna di origini catanesi.
Laura nasce in un contesto nobiliare, la sua vita fu segnata sin dall’infanzia da dinamiche familiari e politiche tipiche dell’aristocrazia siciliana del tempo.
Laura all’età di 17 anni, convolò a nozze con Don Vincenzo La Grua.
Aveva appena 14 anni, quando la sua famiglia stipulò un accordo ,matrimoniale con un’altra casata siciliana, quella dei La Grua Talamanca.
Tre anni più tardi, a soli 17 anni, Laura fu data in sposa a don Vincenzo la Grua, figlio del barone di Carini.
Questo matrimonio, come molti dell’epoca non fu frutto di una scelta personale, ma di una strategia politica ed economica resa a rafforzare alleanze e patrimoni tra famiglie nobiliari.
Il 4 dicembre del 1563 all’età di 35 anni, Laura Lanza fu tragicamente uccisa nel castello di Carini, insieme al suo presunto amante, Ludovico Vernagallo.
Un duplice omicidio avvenuto in circostanze oscure, ufficialmente giustificato come “delitto d’onore”, che oggi, grazie alle nuove ricerche, viene riletto come un possibile caso di femminicidio, maturato in un clima di interessi familiari, gelosie e giochi di potere.
Vito Badalamenti scrittore e ricercatore, e le sue nuove indagini storiche sull’assassinio della baronessa di Carini
Vito Badalamenti si definisce innanzitutto un ricercatore e scrittore.
Nel 2018, infatti pubblica un romanzo dal titolo “Laura L. un silenzio durato 500 anni” – (edito da Passione Scrittore, e distribuito da Mondadori) con cui riporta l’attenzione sulla tragica vicenda di Laura Lanza, la baronessa di Carini.
La storia che per secoli è stata avvolta da leggende, ballate popolari e versioni discordanti, ha spunto Badalamenti ad andare oltre la narrazione letteraria.
Insieme all’amico Francesco Randazzo, attore e appassionato cultore della storia locale (scomparso prematuramente), si pone una domanda cruciale; dove sono sepolti Laura e Ludovico Vernagallo ?
Da questa semplice, ma fondamentale domanda, è iniziata l’indagine storica lunga oltre 12 anni.
Un percorso fatto di ricerche d’archivio, collaborazioni con studiosi, sopraluoghi e uno studio incrociando fonti storiche, documenti e testimonianze locali.
Parallelamente Badalamenti partecipa a diversi progetti di carattere culturale e storiografico, tra cui il contributo fornito alla prossima pubblicazione dello storico dell’arte Massimo Marafon Pecoraro, offrendo un’approfondita ricostruzione storica della famiglia La Grua dal 1390 al 1800.
Le sue ricerche, sempre più dettagliate e sistematiche lo portano a collaborare con esperti come Aurelio Grasso, Santa Di Natale, padre Fiorenzo Fiore (frate cappuccino e direttore della Biblioteca Provinciale dei Cappuccini di Messina), e la Dottoressa Rita Stracuzzi funzionaria del Museo Interdisciplinare Regionale di Messina”.
La scoperta dello scheletro
“Secondo quanto riportato nel libro di Giuseppe Maria Abbate, apprendiamo che le spoglie della baronessa Laura Lanza furono in passato spostate dall’ossario e deposte all’interno di quella che un tempo era la Chiesa Madre di Carini, oggi conosciuta come Chiesa delle Anime Sante del Purgatorio”.
“Un giorno, insieme a Francesco “Ciccio” Randazzo, Santa Di Natale, Gianfranco Lo Piccolo responsabile nel territorio per l’Associazione Culturale Nord America Carini IOD, e con il sindaco di Carini Dott. Giovì Monteleone, ci recammo nella chiesa con la collaborazione del parroco, Padre Ambrogio. Durante l’ispezione, individuammo un vecchio armadio posizionato sull’altare maggiore”.
“Ottenuto il permesso di spostarlo, notammo un buco nella parete, in alto”.“Secondo alcuni racconti orali tramandati dagli anziani del paese, risalenti ai primi del Novecento, la baronessa sarebbe stata sepolta proprio dietro quell’altare”.
“Utilizzando una scala, mi affacciai a quel buco e vidi un teschio, una mandibola e un dente: il resto dello scheletro era nascosto da detriti e calcinacci”.
“La posizione elevata della sepoltura, in prossimità dell’altare maggiore, fa presumere si trattasse di una persona di alto rango.
Proprio su quella parete è presente uno dei quadri dipinti da Giuseppe Patricolo, raffigurante una scena di sacrificio”.“Mi sono chiesto: “E se fosse davvero Laura?”.
“Secondo alcuni documenti storici, Patricolo si sarebbe ispirato a eventi realmente accaduti per realizzare le sue opere, spesso cariche di significati allusivi”.
“Lo scheletro è tuttora lì, in attesa di essere analizzato per determinarne l’epoca e l’identità”.
“Una datazione certa dei resti rappresenterebbe una prova tangibile, fondamentale per riscrivere con precisione la storia della baronessa di Carini”.
“Nei testi di Salvatore Salomone Marino, pubblicati nel 1870, 1873 e 1914, si parla chiaramente della baronessa, smentendo l’idea che la sua storia sia solo una leggenda o un canto popolare”.
“In origine, infatti, si pensava che il personaggio fosse una Caterina, figlia dei La Grua, come narrato da un’antica ballata”.
“Ma nel 1873, Marino trovò l’atto di morte di Laura Lanza nella chiesa di Carini, e smentì definitivamente la versione folkloristica”.
Il caso della baronessa di Carini è infatti costellato da confusioni storiche: esistono 397 varianti del canto popolare che raccontano la vicenda, spesso con notevoli discrepanze.
“Ad esempio, non fu un’arma da taglio a causare la morte di Laura e Ludovico, come raccontano le leggende, bensì colpi di archibugio, un’arma da fuoco tipica dell’epoca”.
“Un’altra verità emersa dalle ricerche è che Laura Lanza non nacque a Trabia, bensì a Palermo”.
“Questa scoperta risale al periodo del Covid-19, durante il quale mi interfacciai con la diocesi di Palermo per accedere agli archivi della chiesa di San Giacomo la Marina”.
“Lì trovai atti di battesimo, di morte e matrimoniali”.
“Pur senza un indice, riuscii a individuare un documento che sanciva l’accordo matrimoniale tra la famiglia Lanza e i La Grua”. “Laura aveva 14 anni all’epoca dell’accordo, ma si sposò a 17, come confermato da un atto che recita:
“Oggi s’inguaiò Don Vincenzo La Grua, signore di Carini, con Donna Laura Lanza.”
“Tutto questo smentisce molte delle informazioni errate tuttora diffuse”.
“Sempre nella chiesa di San Giacomo la Marina, ho trovato anche l’atto di battesimo di Laura, che mi ha permesso di ricostruire la genealogia dei Lanza e dei Vernagallo, famiglia di Ludovico, l’uomo ucciso con lei”.
“Contrariamente a quanto racconta il folklore, Ludovico non era un ragazzo scapestrato, né disprezzato dal padre”.
“Al contrario: il padre gli concesse la procura generale dei suoi beni e l’anno seguente gli lasciò tutto in eredità nel testamento”.
“Questa scoperta ha permesso di delineare per la prima volta il profilo storico di Ludovico, fino ad allora totalmente ignorato dalla storiografia”.
“È inoltre sempre più evidente che, nella vicenda dell’omicidio, furono coinvolti dei complici, la cui identità però resta ancora ignota”.
L’arresto di Don Vincenzo La Grua
“Un altro importante tassello emerso durante le mie ricerche riguarda proprio don Vincenzo La Grua, marito di Laura Lanza”.
“Dopo l’assassinio della baronessa, don Vincenzo fu arrestato e imprigionato: i suoi beni vennero confiscati per ordine del Viceré di Sicilia”.
“Durante i otto mesi di detenzione, don Vincenzo scrisse diverse lettere di protesta, in cui affermava di essere soggetto alla giurisdizione palermitana e di non dover dunque essere trattenuto in carcere”.
“Questi scritti, oggi preziosi documenti storici, testimoniano una battaglia legale e politica che si intreccia con la complessa rete di poteri e privilegi dell’epoca”.
“L’arresto del barone, mai approfondito nelle versioni popolari della storia, suggerisce una reazione ufficiale da parte dell’autorità vicereale, forse più interessata a motivi economici o politici che alla giustizia per Laura”.
“Un elemento che rafforza l’ipotesi dell’intrigo di potere e interessi celati dietro l’omicidio, ben lontano dall’immagine romantica e tragica raccontata dalla tradizione orale”.
Non fu mai celebrato un processo per la morte di Laura
“Un ulteriore elemento fondamentale emerso dalle ricerche riguarda l’assenza di un vero e proprio processo giudiziario per la morte di Laura Lanza di Trabia”.
“Secondo i documenti consultati, non fu mai istruito un processo formale, bensì una consulta straordinaria che si riunì a Roma”.
“A questa consulta presero parte tre avvocati, rappresentanti rispettivamente del Regno di Sicilia, del Regno di Spagna e dello Stato Pontificio”.
“Il fatto che il caso fu discusso a Roma e non in Sicilia, dove il delitto era avvenuto, indica quanto fosse delicato e politico il contesto in cui si inseriva l’omicidio”.
“Tra i personaggi coinvolti figura anche Don Cesare Lanza, padre di Laura, che secondo la tradizione folkloristica viene spesso indicato come il principale autore dell’assassinio della figlia”.
“Tuttavia, anche su di lui gravava un ordine di carcerazione, al quale riuscì a sottrarsi fuggendo a Roma, dove trovò protezione sotto l’ambasciatore spagnolo”.
“Non si può ignorare il passato violento di don Cesare”.
“Già prima dell’omicidio della figlia, si era reso protagonista di un altro delitto, per il quale non fu mai condannato, grazie all’intervento diretto di Carlo V, re di Spagna”.
“Il caso riguardava l’assassinio di un uomo di Termini Imerese, un certo Lo Pisano, con cui la famiglia Lanza aveva vecchi dissapori risalenti a generazioni precedenti”.
“Tali contrasti erano stati inizialmente risolti in via giuridica dal padre di don Cesare, ma quando la tensione tornò ad accendersi, don Cesare agì con violenza, uccidendo Lo Pisano”.
“La consulta fu esplicitamente voluta da Re Carlo V, iter che doveva essere messo in atto, quando si verificavano dei casi particolari”.
“Durante la consulta riunitasi a Roma, Don Cesare Lanza ebbe modo di fornire la sua versione dei fatti relativi all’omicidio della figlia, Laura Lanza di Trabia”.
“Secondo quanto emerso da tale documento, Don Cesare era solito far visita settimanalmente alla figlia presso il castello di Carini”.
“Ogni volta, prima di recarsi al castello, era sua abitudine inviare un messaggero per annunciare il suo imminente arrivo”.
“Stando a quanto riferito nella consulta, il messaggero si presentò puntualmente al castello, dove venne ricevuto da don Vincenzo La Grua, marito di Laura”.
“Don Vincenzo, dopo essere stato informato dell’arrivo del suocero, corse ad avvisare la moglie”.
“Questo passaggio, riportato nella documentazione ufficiale, viene spesso tralasciato nei racconti folkloristici, ma rappresenta un elemento fondamentale per ricostruire la dinamica temporale degli eventi, che si sarebbero verificati di lì a poco, con l’omicidio della baronessa e del giovane Ludovico Vernagallo”.
“Don Vincenzo torna al cospetto del messaggero, visibilmente alterato, con l’archibugio in mano, affermando di aver colto in flagrante la moglie Laura in camera con Ludovico, (va inoltre evidenziato che Ludovico aveva 4 anni in meno di Laura che all’epoca era 35 anni), e di averli chiusi a chiave in camera”.
“Sempre secondo quanto riportato nel documento della consulta romana, don Cesare Lanza, una volta giunto al castello, venne immediatamente informato da don Vincenzo di quanto era accaduto”.
“Nel suo resoconto, Don Cesare dichiara che lui e il genero fecero uscire tutti gli altri presenti dalla stanza, isolandosi con la figlia Laura e con Ludovico Vernagallo”.
A quel punto, secondo la testimonianza fornita da Don Cesare stesso, vennero esplosi due colpi di archibugio.
“Nel documento della consulta non vi è riportato chi ha esploso materialmente i colpi”,
“A questo punto, è inevitabile porsi alcune domande fondamentali.
“Perché Don Vincenzo, all’arrivo dell’annunciatore che precedeva l’arrivo del suocero, imbracciava già un archibugio?”
“All’epoca, era consuetudine depositare le armi in armeria, soprattutto all’interno del castello”.
“Eppure, don Vincenzo aveva già l’arma in mano, prima ancora che Don Cesare giungesse a Carini”.
“Questo dettaglio lascia pensare che la scena del delitto fosse stata preparata”.
“Inoltre, secondo quanto riportato nel documento della consulta romana, Ludovico Vernagallo avrebbe pernottato nel castello di Carini per diversi mesi”.
“Ma com’è possibile, se risulta che don Vincenzo non si allontanava mai dal castello, al punto da delegare altri per rappresentarlo in guerra o negli affari di governo ?”
“Un altro elemento che solleva dubbi riguarda il modo in cui Ludovico avrebbe raggiunto la stanza di Laura”.
“Sempre secondo la consulta, si afferma che egli scalasse un muro di cinta alto 20 metri con una scala a pioli, per poi arrampicarsi per altri 20 metri circa fino alla stanza”.
“Un’impresa quasi impossibile, soprattutto considerando che attorno al castello vi erano guardie armate a presidiare l’intero perimetro”.
“Com’è plausibile, dunque, che un uomo possa compiere un’azione tanto rischiosa e vistosa, senza essere visto o fermato ?”“Tutti questi elementi mettono in discussione la versione dei fatti che per secoli è stata accettata, suggerendo che l’omicidio della baronessa e di Ludovico sia stato premeditato, forse con la complicità di più persone, e che la verità storica sia stata deliberatamente alterata o insabbiata”.
“Dalle carte storiche emerge che Don Vincenzo La Grua era costantemente indebitato”.
“Per far fronte ai suoi debiti, aveva chiesto prestiti proprio a sua moglie Laura e, dopo la sua morte, pignorò i suoi gioielli”.
Una dinamica che si ripeté anche con la seconda e la terza moglie.
“Laura, al contrario, risulta essere una donna indipendente e finanziariamente competente”.
“Esistono atti notarili che confermano che don Vincenzo non aveva diritto di disporre liberamente del patrimonio della moglie”.
“Inoltre, sia la madre che la nonna di Laura, nei loro lasciti testamentari, dichiarano esplicitamente che Laura era autorizzata a gestire e investire i loro beni”.
“Alla luce di questi elementi, appare più plausibile che sia stato don Vincenzo a uccidere Laura, forse per liberarsi di una moglie scomoda e riprendere il controllo del patrimonio”.
“Di conseguenza, don Cesare Lanza, padre di Laura, uomo d’onore ma già macchiatosi di precedenti delitti, potrebbe essere caduto in una trappola ben orchestrata”.
“La leggenda vuole che i figli di Laura e don Vincenzo siano stati cacciati dal castello, perché ritenuti frutto di adulterio. Tuttavia, questa versione è smentita dalla documentazione storica: secondo la consulta, la relazione extraconiugale tra Laura e Ludovico Vernagallo sarebbe iniziata solo due anni prima della morte di Laura, mentre l’ultimo figlio di Laura e don Vincenzo era nato tre anni prima”.
“Dunque, la giustificazione dell’adulterio non regge”.
“Dopo l’omicidio, anche don Cesare cercò di evitare il carcere, nonostante pendesse su di lui una sentenza definitiva, mentre don Vincenzo era già stato incarcerato. don Cesare riuscì a sfuggire all’arresto grazie all’appoggio della corte spagnola, in particolare a Carlo V, Re di Spagna, che lo aveva già favorito in passato”.
Dopo la morte di Carlo V, il figlio Filippo II mantenne un buon rapporto con Don Cesare, tanto da concedergli un’udienza in Spagna.
“Durante il soggiorno presso la corte spagnola, don Cesare raccontò la sua versione dei fatti, ottenendo l’archiviazione delle accuse a suo carico e, successivamente, anche per il genero don Vincenzo”.
“La sentenza definitiva, datata aprile 1565, giunse a Palermo qualche mese dopo”.
“I figli di Laura furono mandati via dal castello, ma per ragioni differenti: don Vincenzo, mentre era ancora in carcere, stipulò un accordo con Alfonzo Ruiz, che gli propose in sposa la sorella Ninfa”.
“In cambio di una cospicua dote, don Vincenzo accettò di trasferire i suoi beni ai futuri figli nati da questo secondo matrimonio, e di allontanare i figli avuti con Laura dal castello”.
“Il patto fu formalizzato in un documento ufficiale, che parlava di accordi irrevocabili stipulati ad aprile e concretizzati ad agosto dello stesso anno”.
“Subito dopo aver dato in sposa Laura nel 1547, don Cesare sposò Castellana Centelles, vedova del Conte di San Marco”.
“La donna aveva avuto un figlio dal primo matrimonio con un membro della famiglia Filangieri, il cui feudo era temporaneamente amministrato dallo zio, in attesa della maggiore età del ragazzo”.
“Ma Don Cesare, attratto dall’eredità, tentò di impossessarsi del feudo falsificando i documenti”.
“Il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, all’epoca inviato a Palermo per riportare ordine e legalità, venne a conoscenza dell’intrigo e fece arrestare don Cesare. Tuttavia, ancora una volta, l’intervento del Re di Spagna permise a don Cesare di essere liberato”.
“Per completare l’acquisizione del feudo, don Vincenzo fece sposare la figlia Margherita con il nuovo Conte di San Marco, cugino del figliastro morto”.
“Il nuovo conte aveva appena 12 anni, Margherita solo 10: un matrimonio combinato per interesse, utile a rafforzare il controllo sulla proprietà”.
“Infine, per comprendere appieno la personalità di don Cesare Lanza, è significativo l’episodio che lo vide contrapposto direttamente al cardinale Granvelle”.
“Quest’ultimo, intento a epurare la nobiltà corrotta, fu fermato nella sua azione proprio grazie all’intervento di don Cesare, che, sostenuto dagli altri nobili siciliani, fece pressione su Carlo V affinché ne bloccasse l’operato”.
“In una lettera del cardinale Granvelle stesso, si legge che Don Cesare era un uomo “di sangue buono, con tantissimi soldi, ambizioso e prepotente come il padre”, ma anche “potenzialmente utile”, motivo per cui venne nominato Pretore di Palermo”.
Personaggi che più di una volta hanno perpetrato crimini, eppure omicidi e vengono graziati
“Un altro documento fondamentale, che contribuisce a sollevare dubbi sulla reale colpevolezza di Don Cesare Lanza, risale al 1575, dodici anni dopo l’omicidio di Laura Lanza, in un periodo in cui la peste imperversava a Palermo”.
“Il documento in questione è una lettera scritta in codice da Giovan Guglielmo Buonicontro, all’epoca avvocato della famiglia La Grua e successivamente sindaco di Palermo. La missiva è indirizzata proprio a Don Cesare Lanza, e il contenuto è particolarmente inquietante e criptico”.
Buonicontro apre la lettera scrivendo:
“Non ho potuto dormire tutta la notte…”
“Un chiaro segnale del suo stato d’animo turbato e del fatto che si sentiva vicino alla morte”.“Riferendosi a Don Vincenzo La Grua, lo chiama “il Signore di Carini”, e accenna a un evento misterioso legato a lui:
“…per quel fatto successo con il Signore di Carini… ci sono stati tanti misteri e cose nascoste…”.
Poi menziona una serie di numeri e simboli, in quello che sembra essere un codice cifrato:
“…e quel numero 40, il 5 e il 3, la ‘e’ e l’1, che fu la gallina morta…”.
“Questi elementi restano di difficile interpretazione, ma sembrano riferirsi a dettagli noti solo a loro due, o a un gruppo ristretto di persone coinvolte”.
La lettera continua con un passaggio che suggerisce un’azione violenta o minacciosa verso Don Vincenzo:
“…e vostra eccellenza che gli aveva mandato 4 muli carichi…”,
“dove l’espressione “4 muli carichi” viene interpretata come un modo cifrato per indicare 4 uomini mandati con brutte intenzioni”.
Segue un ulteriore dettaglio inquietante:
“…la risposta che questi ricevettero, Don Vincenzo se l’era fatta consigliare…”
“e vengono citati alcuni personaggi influenti, incluso il notaio di Carini, suggerendo un coinvolgimento di personalità autorevoli in una sorta di congiura o depistaggio”.“Uno di questi uomini, secondo Buonicontro, “si vantava di aver consigliato Don Vincenzo”, quasi come se l’avesse aiutato a salvarsi”.
Buonicontro, rivolgendosi a Don Cesare, aggiunge un passaggio fortemente accusatorio:
“Vostra eccellenza ha sbagliato a dargli ragione”.
“E infine, una frase che lascia intendere un desiderio di vendetta o giustizia mancata:
“Non doveva dargli cose dolci, ma i maccheroni di Termini…”,
“riferendosi a una pasta che veniva servita in una cassa profonda, quasi a evocare un’immagine funebre, come a dire:
“Meritava la morte, non clemenza”.
La lettera si conclude con una frase enigmatica:
“Se vivo altri dieci giorni, mi purgo ancora…”
“una promessa implicita di rivelare ulteriori verità, se il destino gliene avesse dato il tempo”.
“Questo documento, così carico di tensione e allusioni, rafforza l’ipotesi che Don Cesare non fosse direttamente coinvolto nell’omicidio della figlia, e che dietro la morte di Laura si celassero giochi di potere, tradimenti e manipolazioni, orchestrati da personaggi potenti, incluso Don Vincenzo La Grua”.
“Secondo me Buonicontro sembra volerlo avvisare che è caduto in una trappola”.
“Proseguendo nelle mie ricerche, ho rinvenuto un altro documento che conferma quanto segue:
Dopo il delitto di Laura Lanza, Giovan Guglielmo Buonicontro fu immediatamente nominato capitano giustiziere, carica alla quale vennero conferiti pieni poteri”.“Fu inviato a Carini con il compito ufficiale di indagare su una questione di poco conto, riguardante un prigioniero e una somma di 10 o 15 once”.
“È però legittimo chiedersi: chi mai invierebbe un avvocato con poteri straordinari per un affare tanto marginale?
Ritengo, piuttosto, che il vero obiettivo fosse un’indagine approfondita sul delitto stesso, ordinata dal Viceré”.“Circa cinque mesi dopo il suo arrivo a Carini, nel 1564, giunsero tre lettere anonime alla Santa Inquisizione. Di lì a poco, Buonicontro venne arrestato con l’accusa di eresia. Rimase in carcere per molti anni, e solo nel 1575 — ormai in punto di morte, come attestano i documenti — scrisse una lettera cifrata, destinata a don Cesare”.
“Ritengo plausibile che dietro l’arresto del Buonicontro ci fosse la mano di don Vincenzo, marito di Laura, il quale poteva avere interesse a far tacere l’investigatore”.
“Tuttavia, nutro seri dubbi sul fatto che la missiva di Buonicontro sia mai giunta realmente a destinazione”.
“Il documento non compare nel carteggio di Casa Lanza, e nel 1575 don Cesare si trovava a Trabia, isolato a causa della peste”.
“In quel periodo, esisteva un decreto che lo investiva di pieni poteri, inclusa la facoltà di uccidere chiunque tentasse di accedere a Trabia senza il suo permesso”.
“Intendo approfondire questa pista, verificando l’eventuale esistenza di un carteggio relativo a testimonianze, investigazioni e arresti avvenuti a Carini in quel periodo, che potrebbero avvalorare l’ipotesi di una vera indagine condotta da Buonicontro”.
“Recentemente, ho anche scoperto un corposo carteggio di oltre cento pagine che documenta in dettaglio l’azione della giustizia nei confronti dei beni della famiglia Lanza”.“Di particolare rilievo, in questo insieme di atti, è la sentenza esecutoria d’arresto a carico di don Cesare, che nel frattempo si era già dato alla fuga, rifugiandosi a Roma”.
“Insomma, c’è ancora tanto da investigare e approfondire”
“Le indagini continuano e, sebbene siano emersi numerosi documenti e dettagli significativi, c’è ancora molto da investigare e approfondire per ottenere una comprensione completa della vicenda di Laura Lanza e dei suoi complessi legami familiari e storici”.
“Nel frattempo, siamo felici di annunciare che abbiamo ricevuto diverse proposte per la realizzazione di un film basato su questi eventi storici”.
“Tra gli interessati c’è la casa di produzione cinematografica inglese, Massina Production, diretta da Giovanna Maddalena. Esistono anche altre offerte che, per ragioni legate a contratti di riservatezza, non posso al momento rivelare nel dettaglio”.
“In occasione di questo progetto, abbiamo lavorato con Santa Di Natale, una regista premiata al Cefalù Film Festival con il prestigioso Premio Internazionale della Critica, per sviluppare una sceneggiatura che riassuma in modo efficace la storia in otto puntate”.
“L’obiettivo è non solo rendere omaggio alla complessità del caso di Laura Lanza, ma anche avvicinare il grande pubblico a una storia che, seppur di secoli fa, continua ad affascinare e a sollevare interrogativi”.
“Siamo entusiasti di questa opportunità e ci impegneremo a portare avanti il progetto con la stessa passione e dedizione che ha guidato le nostre ricerche finora”.
“Con il tempo, le indagini e la sceneggiatura si arricchiranno sempre più, e siamo certi che il risultato finale sarà un racconto che merita di essere conosciuto in tutto il mondo.”

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