Wael Dahdouh di Al Jazeera piange il quinto membro della sua famiglia.

Massacro dei giornalisti. Quella in atto in Palestina è una guerra crudele e inaccettabile.

Senza alcuna pietà è venuta da chi per primo l’ha causata: il massacro di donne, uomini e bambini a Gaza e i rapimenti per mano di Hamas.

Ma se possibile – e lo è stato – ancor più feroce è il Genocidio, che bisogna chiamare con questo nome (per il quale si dovrà rispondere alla Corte di Giustizia dell’Aja) del martoriato popolo palestinese in atto a Gaza per mano del governo israeliano di Benjamin Netanyahu.

È vero che Hamas aveva richiesto un tributo di sangue dei propri civili, ma Israele si macchia di crimini contro l’umanità “accontentato” barbaramente questa richiesta.

Un Genocidio che ha portato a 21mila vittime al 29 dicembre scorso, con migliaia di bambini uccisi, ospedali distrutti, cure mediche negate, impossibilità da parte delle madri di avere la disponibilità del latte per i loro figli;

proprio ieri una bambina di soli quattro anni in Cisgiordania è stata un’altra triste martire da considerare nel grido di dolore lanciato da Papa Francesco per la Terra Santa.


Ma in questo massacro, in questo Genocidio, dalle cronache ne emerge un altro ancora: quello dei giornalisti. A Gaza infatti il governo israeliano sembra puntare alle vite dei giornalisti: 109 i colleghi morti dal 7 ottobre, uno al giorno.

Wael Dahdouh piange la morte del quinto componente della sua famiglia.

Wael Dahdouh, di Al Jazeera, è stato il simbolo di questo massacro indiscriminato. Dahdouh aveva già perso la moglie, un figlio, una figlia e un nipote in un raid aereo; praticamente in diretta è avvenuta la morte di un altro figlio e l’eroico proseguimento della trasmissione di Al Jazeera.

Essere giornalisti e palestinesi è oggi un atto di coraggio, una missione. Una missione che si paga quasi sempre con la vita perché il governo israeliano li individua come “terroristi”, anche se sono di testate internazionali. Si tratta di una barbarie. Una barbarie che le organizzazioni sovranazionali dovrebbero condannare con fermezza e sui quali spero si alzino voci di denuncia e perché no azioni internazionali di perseguimento nei confronti di Israele.

Bambine e bambini, donne e uomini, giornalisti. Vittime civili che Israele identifica in obiettivi militari, in spregio al benché minimo diritto internazionale.

Vittime innocenti di una spirale d’odio a cui il mondo guarda con indifferenza e stanchezza per un pianeta sempre più violento e sempre meno sicuro, in un nuovo ordine multipolare che non riesce a trovare le proprie regole comuni, regole e istituzioni – perché no rinnovate e oltre i poteri di veto – che garantiscano la Pace fra le nazioni e il benessere dei popoli.

Nel quale anche la Palestina possa avere la sua terra, la sua democrazia e quel benessere che la criminale politica di Netanyahu gli nega accettando una barbara logica dell’occhio per occhio e dente per dente, rapportata però in una proporzione del 20 a 1, un gioco spietato dove ci rimettono solo gli innocenti di ambo le parti, compresi i colleghi giornalisti.

Lorenzo Proia

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