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Ne ha fatta di strada il neo medico bengalese che quando, a 11 anni, si è presentato a scuola aveva fatto scena muta.

Ne ha fatta di strada il neo medico bengalese che quando, a 11 anni, si è presentato a scuola aveva fatto scena muta.

Il medico bengalese

Il giovane bengalese che a 11 anni si era presentato alla sua nuova classe dicendo solamente «Mi chiamo Rasel Miah» ora sarà un medico.

Il piccolo bengalese non conosceva una parola in italiano, ma stringeva tra le mani un prezioso vocabolario regalatogli dal padre.

Per giorni non era riuscito a pronunciare una parola e lo avevano definito il bimbo muto delle medie.

Poi, piano piano, professori e compagni gli hanno insegnato a parlare veloce e fluido la complicatissima (per lui) lingua italiana.

Studente modello

In poco tempo vocabolario, professori e compagni lo hanno aiutato a liberare le sue potenzialità e a superare l’esame di terza media con l’ottimo.

Successivamente al Liceo Stefanini è stato l’unico della sua annata ad uscire con la lode.

Rasel Miah oggi ha realizzato il suo sogno ed è il quarto medico di origine bengalese in Italia e il primo in provincia di Venezia.

Genitori modello

Sultan e Rowsona sono i suoi genitori ed entrambi sono operai alla Fincantieri di Porto Marghera.

La famiglia gli ha garantito la possibilità di studiare senza costringerlo a lavorare per mantenerli, anzi lo hanno spronato e sostenuto nel suo sogno di laurea.

Oggi Rasel Miah è impegnato a studiare per l’esame di Stato e il test d’ingresso per la scuola di specializzazione.

Ma non è tutto qui perché suo fratello Ruben è uno studente universitario in chimica e tecnologia farmaceutica.

La visione del mondo di Rasel

Un altro sogno di Rasel è quello di spingere i giovani bengalesi della comunità veneziana a formarsi e ad uscire dallo stereotipo di “venditori di rose”.

La “visione del mondo” del giovane medico contempla entro una quindicina d’anni medici, ingegneri e chissà cos’altro ancora per i giovani bengalesi.

Rasel è convinto che in Italia c’è la possibilità di crescere, che i giovani bengalesi non siamo destinati tutti a lavorare in fabbrica oppure a vendere rose come i loro genitori.

 

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